19-11alfano

 

Signor Ministro,

 

riteniamo opportuno rappresentarLe le nostre perplessità a fronte dell’adozione di alcune recenti modifiche normative, che appaiono destinate ad incidere pesantemente sull’operatività delle Forze di polizia e, più in generale, sui livelli di sicurezza reale e percepita.

Il d.l. 20 marzo 2014, n. 36, contenente “Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (…)”, è stato convertito in legge con modificazioni nel maggio scorso (l. 16 maggio 2014, n. 79). La legge di conversione ha modificato ulteriormente anche l’art. 73, co. 5 del D.P.R. n. 309/90, che così recita nella versione definitiva: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1032 a euro 10.329”.

E’ stata, così, ripristinata la pena edittale relativa alle c.d. droghe leggere, prevista dal testo originario del T.U sugli stupefacenti (c.d. Iervolino-Vassalli), che viene – col nuovo intervento legislativo – estesa anche alle droghe c.d. pesanti.

La fattispecie di cui all’art. 73, co. 5 diviene fattispecie autonoma di reato e non più circostanza attenuante rispetto all’ipotesi di cui al co. 1 del medesimo articolo, restando, quindi, sottratta al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.

La pena edittale massima consente ancora l’arresto facoltativo in flagranza di reato ex art. 381, co. 1 c.p.p., ma rende inapplicabile la custodia cautelare in carcere (per la quale, a seguito di un’ulteriore modifica, apportata all’art. 275, co. 2 c.p.p. attraverso il d.l. 1° luglio 2013, n. 78, convertito in l. 9 agosto 2013, n. 94, è richiesto che la pena massima non sia inferiore a 5 anni).
A ciò consegue, tra l’altro, che – ove la pena in concreto applicata non superi i tre anni di reclusione – il reo potrà beneficiare della sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 656, co. 5 c.p.p. all’atto del passaggio in giudicato della sentenza (restando a priori esclusa la circostanza ostativa dello stato di custodia cautelare in carcere, prevista dall’art. 656, co. 9, lett. b). Ed ancora, in considerazione del nuovo limite massimo, l’imputato potrà chiedere l’ammissione all’istituto della sospensione del processo con messa alla prova di cui agli artt. 168-bis e ss. c.p. (applicabile ai reati puniti con pena pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni), introdotti con l. 28 aprile 2014, n. 67. Significative anche le novità in tema di lavoro sostitutivo.

Il provvedimento normativo mira evidentemente ad incidere sul sovraffollamento carcerario, escludendo l’ingresso negli istituti di pena – fatte salve ipotesi di carattere residuale – per gli autori di fatti di lieve entità.
Tuttavia, a fronte del più che legittimo obiettivo perseguito dal legislatore, si sottovaluta il fatto che il c.d. “piccolo spaccio” è un fenomeno in realtà assai pericoloso, che alimenta la criminalità organizzata, che crea un grande allarme sociale e che finisce col determinare la ghettizzazione di interi quartieri delle nostre città. A seguito della modifica, infatti, trattandosi comunque di un’ipotesi di arresto facoltativo, che deve essere sempre motivato dalla P.G. operante (sulla base della gravità del fatto o della pericolosità del soggetto desunta dalla personalità del medesimo o dalle circostanze del fatto), diviene più difficile procedere all’arresto in flagranza, su cui in certi casi il P.M. non concorda, proprio a causa dell’impossibilità di richiedere, in sede di rito direttissimo, l’applicazione della custodia cautelare. Si tratta, quindi, di un provvedimento che appare destinato ad incidere in termini fortemente negativi, oltre che sulla nostra concreta operatività, anche sull’efficacia deterrente della sanzione penale prevista e che finirà per incoraggiare questo grave fenomeno, considerato – tra l’altro – che già oggi gli spacciatori utilizzano ogni opportuna cautela per occultare la pluralità delle dosi concretamente disponibili per la vendita e, conseguentemente, la reale ampiezza del commercio. Si trascura, così, che la lieve entità di cui parla la norma, all’atto del primo intervento di polizia (che nella maggior parte dei casi culminava con l’adozione della misura dell’arresto e spesso con l’applicazione della custodia cautelare in carcere, anche per la necessità di salvaguardare lo svolgimento di immediati approfondimenti investigativi), è un concetto che non deve trarre in inganno. Esso, di fatto, finisce col qualificare il solo dato oggettivo del modesto quantitativo trovato nella disponibilità dello spacciatore, ma nulla dice – in assenza di altri elementi oggettivi, difficilmente reperibili nell’immediatezza dei fatti – sulla complessiva rilevanza e sullo spessore del fenomeno criminale sotteso al singolo episodio rilevato.

I dati relativi al trimestre aprile – giugno 2014, se paragonati allo stesso periodo del 2013, confermano le preoccupazioni sin qui esposte, dimostrando una fortissima riduzione sia degli arresti, sia delle denunce a piede libero, in alcuni casi addirittura superiore al 50%. Sembra, dunque, che il provvedimento in questione abbia inciso direttamente sul numero degli arresti, ma abbia prodotto anche un effetto secondario che merita la dovuta attenzione. Benché gli elementi ad oggi disponibili richiedano un’analisi più approfondita, il contestuale calo delle denunce in stato di libertà – anche alla luce delle notevoli difficoltà operative derivanti dalla carenza di uomini e mezzi – pare, infatti, indicare un più complessivo disinvestimento rispetto alle attività di prevenzione e repressione del c.d. “piccolo spaccio”.

Altro intervento normativo di particolare importanza è quello relativo alla modifica apportata all’art. 275, co. 2-bis c.p.p., dal d.l. 26 giugno 2014, n. 92 e dalla relativa legge di conversione. La disposizione stabilisce adesso che: “Non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. Salvo quanto previsto dal comma 3 e ferma restando l’applicabilità degli articoli 276, comma 1-ter, e 280, comma 3, non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni. Tale disposizione non si applica nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 423-bis, 572, 612-bis e 624-bis del codice penale, nonché all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e quando, rilevata l’inadeguatezza di ogni altra misura, gli arresti domiciliari non possano essere disposti per mancanza di uno dei luoghi di esecuzione indicati nell’articolo 284, comma 1, del presente codice”.

La legge di conversione ha fortunatamente introdotto una serie di deroghe, destinate a limitare l’ambito di operatività della disposizione, anch’essa mirante – come quella di cui si è già detto in tema di stupefacenti – a ridurre il carico degli istituti di pena. Restano, tuttavia, una serie di nodi problematici che meriterebbero una più attenta riflessione, anche perché sembra che sia stato introdotto un automatismo che impone l’esclusione della custodia cautelare per tutti i condannati con pena sino a tre anni di reclusione (salve le deroghe di cui si è detto, apportate dalla legge di conversione), anche nell’ipotesi di recidiva o di sfavorevole prognosi sulla commissione di ulteriori reati. Si tratta di un intervento destinato ad avere un’efficacia significativa sulla reale possibilità di garantire le esigenze cautelari, a fronte, ad esempio, dell’evidente inadeguatezza delle altre misure cautelari previste o di reati che creano particolare allarme sociale (e che ben possono essere di fatto sanzionati con pena non superiore ai tre anni), come in particolare la stessa criminalità di tipo predatorio che ha fatto registrare un significativo incremento nell’ultimo triennio.

L’assenza di misure di carattere strutturale indirizzate alla soluzione del problema carcerario, da un lato determina il ciclico riproporsi di vere e proprie emergenze cui, in passato, si è pensato di porre rimedio attraverso provvedimenti di amnistia ed indulto che hanno prodotto benefici di carattere temporaneo, peraltro a fronte di un innalzamento dell’indice di delittuosità secondo alcuni riconducibile proprio all’anticipata dimissione dal carcere di numerosi condannati. Dall’altro, finisce col trasformare in un problema di polizia il sovraffollamento carcerario, attraverso modifiche normative che, come nei casi in esame – limitando l’applicazione della custodia cautelare in carcere o rendendo più difficile l’arresto in flagranza per reati di estrema frequenza e di particolare allarme sociale – compromettono ulteriormente l’efficacia degli strumenti di cui dispongono le Forze dell’ordine.
Ciò contribuisce ad alimentare la già diffusa convinzione che esista una sostanziale impunità, a vantaggio dei professionisti del crimine, dei soggetti più spregiudicati, di coloro che ritengono di non aver molto da perdere e conseguono guadagni significativi attraverso lo spaccio di sostanze stupefacenti, ben sapendo che – nella peggiore delle ipotesi – non rischieranno di trascorrere neppure un giorno in carcere.

Per le ragioni che abbiamo illustrato, Signor Ministro, Le chiediamo di voler intervenire affinché non si prosegua su questa via, prestando la dovuta attenzione alle ricadute in termini di sicurezza pubblica di provvedimenti normativi che appaiono rivolti a rimediare ad una situazione drammatica e disastrosa, come il sovraffollamento carcerario, dimenticando, però, che l’efficacia del sistema repressivo e preventivo e dell’intervento di polizia, passa soprattutto attraverso l’effettività delle sanzioni e la certezza delle pene.

Il Segretario Nazionale
Lorena LA SPINA

Intervento a Rai GR1

DATI OPERAZIONI ANTIDROGA

LETTERA AD ALFANO DEL 14 AGOSTO 2014