Gli scontri recenti a Venezia durante in G20 rievocano gli echi lontani ma indimenticati del G8 di Genova del 2001. Anni luce, in realtà, separano tattiche e strategie di polizia oggi in campo da quelle tragiche e deplorate di vent’anni fa. Una rivoluzione silenziosa, spesso contestata da fronti opposti, faticosa da introdurre, complessa sul piano operativo.
Il principio lo sottolineò Antonio Manganelli, allora al vertice del Dipartimento di pubblica sicurezza, all’inaugurazione del centro di formazione tutela dell’ordine pubblico di Nettuno (Rm): «Garantire il diritto di chi manifesta ed esprimere il proprio dissenso ma, allo stesso tempo, garantire anche il diritto dei cittadini a svolgere le proprie attività e la propria vita».
La svolta della scuola dell’ordine pubblico
Preso il testimone da Gianni De Gennaro, amico e collega di una vita, Antonio Manganelli da poco meno di un anno era il numero uno della Polizia di Stato. Decise di dare un segno di discontinuità rispetto al G8. Ma sapeva di non poterlo improvvisare. Nè una norma di legge avrebbe potuto cambiare prassi, culture, metodi, schemi operativi consolidati e ripetuti, soprattutto indiscussi.
«Si attendeva l’attacco dei facinorosi per rispondere. Si rincorreva il soggetto in fuga ritenuto minaccioso. Si colpiva la persona a terra» ricorda Enzo Letizia, classe 1962, più di trent’anni di carriera in polizia, dal 2007 segretario dell’Anfp, l’associazione dei funzionari.
La circolare Manganelli del 21 gennaio 2009
La rivoluzione, dunque, ha bisogno di tempo. La nascita della Scuola per l’Ordine pubblico è un segnale. Poi arriva il 21 gennaio la circolare di Manganelli «Manifestazioni di rilievo – Lineamenti». È, a tutt’oggi, il manuale per la piazza. Allora, uno sconvolgimento silenzioso.
Certe mentalità muscolari venivano ribaltate, delegittimate, negate alla radice. Attenzione però: «L’uso della forza legittima resta a tutti gli effetti nell’azione della polizia quando è in piazza se è costretta a farlo. È la filosofia, la cultura di fondo a cambiare. La prevenzione e l’azione preventiva diventano centrali» sottolinea Letizia.
Cambia la visuale dell’azione in pia zza
Il cambio di prospettiva va introiettato da tutti: questori, dirigenti e funzionari fino all’ultimo agente di un reparto mobile o di un ufficio territoriale. Non è facile, non è scontato, c’è chi mugugna. Ci vuole tempo.
«Una delle indicazioni è di non rispondere alle provocazioni. Fanno il gioco dei violenti. Le conseguenze del conflitto scatenatosi annullano il senso della manifestazione» sottolinea il numero uno dell’Anfp. Manganelli chiama più funzionari e dirigenti a scrivere la circolare, ci vogliono tutti i punti di vista: Oscar Fiorolli, Armando Forgione, Roberto Massucci, Sebastiano Salvo, Giuseppe Petronzi.
In piazza, allora, e tante volte, c’era Lamberto Giannini, capo della Digos di Roma, erede e amico di Franco Gabrielli. Giannini poi insegnerà alla Scuola Ordine pubblico. Quest’anno anche loro si sono scambiati il testimone alla guida del dipartimeento di P.s.
Decisiva l’attività prima della sfilata
I poliziotti schierati in strada sono l’ultimo pezzo dell’azione di ordine pubblico. Prima, sotto la guida del questore, si deve scandagliare tutto: organizzatori, intenzioni ufficiali e nascoste, infiltrati in agguato, livello della minaccia, articolazione delle presenze, disponibilità al dialogo. Strumento, quest’ultimo, da utilizzare in modo ossessivo, fino all’ultimo. In questura gli organizzatori sono convocati, ci si conosce e ci si confronta.
Per la polizia il livello informativo deve essere quello massimo possibile: è il metodo per ridurre al minimo la difficoltà della sorpresa, dell’imprevisto. Quello che in una piazza diventata ingovernabile scatenò i problemi gravissimi e la tragedia del G8 di Genova.
«Equilibrio tra disordine sopportabile e ordine indispensabile»
È il titolo di un volume pubblicato dall’Anfp. Sottolinea Letizia: «L’azione di contenimento è strategica, continua, decisiva per il successo di tutti. A Venezia, i manifestanti non dovevano entrare nella zona delle autorità e la polizia lo ha impedito. Poi ci sono le cosiddette cariche di alleggerimento: servono, appunto, a disperdere l’azione ostile ma per ridimensionare e annullare il rischio del conflitto».
Non si rincorre a tutti i costi, non si reagisce – i lanci di bottiglie sono tuttora usuali – non si accettano le provocazioni «a differenza del passato quando le si aspettava per poter rispondere».
Ogni poliziotto in piazza, oggi, dal questore fino all’ultimo agente, deve avere piena cognizione del contesto operativo. «Non è più la filosofia del pattuglione. Ma si incardina il senso della responsabilità per ciascuno dei colleghi».
Sfide difficili, non senza errori. In continuo aggiornamento.