Signor Ministro,
la morte del tifoso interista, la sera di Santo Stefano, che segue i disordini verificatisi a Roma in occasione dell’incontro Lazio – Eintracht Francoforte, conferma che siamo di fronte al riacutizzarsi dei fenomeni di violenza, che tutti si auguravano fossero sotto controllo grazie ad una strategia che aveva unito istituzioni, forze dell’ordine, club e società e che si era avvalsa dell’introduzione di strumenti normativi e dell’applicazione di appropriate misure di prevenzione.
La escalation cui assistiamo non deve vanificare quello sforzo, che resta, ancora oggi, la strada giusta da percorrere. Al contrario, come Lei ha giustamente sottolineato, richiama la necessità di riaffermare la validità di un’azione di coinvolgimento di tutti gli attori del mondo del calcio affinché vengano condivisi l’onere e la responsabilità di concorrere alla sicurezza durante eventi di carattere sportivo, cosicché il loro pacifico svolgimento non sia solo un problema di ordine pubblico da scaricare sulla polizia, ma costituisca, invece, un impegno comune, come è giusto che sia nello spirito di una civile competizione.
Al riguardo, esistono due tipologie di tifoserie: quella dialogante e quella composta da criminali. Quest’ultima non può che essere oggetto di azioni di polizia dal punto di vista sia preventivo sia repressivo, utilizzando senza alcun buonismo tutti gli strumenti giuridici oggi esistenti e, ove possibile, potenziandoli ulteriormente, specie per quanto concerne la violazione del regolamento d’uso previsto in tutti gli stadi in cui si disputano campionati professionistici.
Le indagini di Milano, concernenti gli scontri tra gli ultras dell’Inter e quelli del Napoli, stanno evidenziando che la regia dell’agguato interista è maturata all’interno della curva. Infatti, è stato indicato come ispiratore dell’imboscata ai tifosi napoletani un capo ultras, responsabile delle coreografie da diversi anni, che ha utilizzato “il potere di influenza” sui tifosi a lui “subordinati” (così scrive il Giudice per le Indagini Preliminari).
Perciò, nel dialogo non possono essere coinvolte tutte quelle figure equivoche che guidano i gruppi ultras e che mutuando i sistemi e le modalità delle organizzazioni criminali, perseguono scopi illegali tesi a condizionare il calcio con intimidazioni e ricatti per trarne profitto.
Per la tifoseria “dialogante”, quella autenticamente composta da veri appassionati, esiste già ed è prevista dai regolamenti di tutte le federazioni europee, la figura del “supporter liaison officer” ovvero di quel soggetto che, individuato dalle singole società di calcio, ha il compito di rapportarsi con questa, e solo con questa, categoria di appassionati. Il problema non risolto è che su tale figura, perfettamente delineata sotto il profilo teorico, sono mancati impegno, investimenti, coerenza.
In questa nuova fase, occorrerà sempre tenere presente che, anche se gli scontri avvengono lontano dagli impianti sportivi, è sempre all’interno delle curve che vengono concepiti, infatti, in esse spesso attecchisce la “sottocultura sportiva di banda” che sta alla base delle violenze.
Quindi, in questa rinnovata fase di interlocuzione, sarà indispensabile perseverare nell’obiettivo di impedire a criminali comuni di porsi come soggetti accreditati a dialogare con le istituzioni e, soprattutto, di dominare all’interno di interi settori dello stadio.
Una strategia, quindi, che si ponga in linea di continuità con le best practice del passato il cui presupposto fondante è: lo Stato nel suo complesso deve avere il controllo delle curve.
Roma, 3 gennaio 2019
Enzo Marco Letizia
Lettera al Ministro dell’Interno_Recrudescenza violenza da stadio 3 gennaio