Oggetto: riconoscimento ai fini pensionistici degli anni di laurea senza riscatto – necessità di un’iniziativa legislativa del Governo.
Signor Ministro,
la sentenza della Corte costituzionale n. 270 del 2022 nel rigettare la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte dei conti della regione Puglia, ha determinato nella categoria un sentimento di profonda ingiustizia. Con tale pronunciamento di fatto non si è rimossa una irragionevole sperequazione tra il personale dirigente militare ed il personale dirigente civile della Polizia di Stato, causata anche dalla mancata omogeneizzazione normativa all’indomani della legge 121/81.
La Corte, contraddicendo la motivazione della pronuncia del 1995, non ha tenuto conto del fatto che da tempo i limiti di età per la cessazione dal servizio tra il personale dirigente militare e quello civile sono stati uniformati. Infatti, nel 1995 quando la Corte dichiarò infondata la questione costituzionale, ritenne che nell’ambito della sua discrezionalità il legislatore: “nello stabilire per il personale civile dello Stato, a differenza che per quello militare, l’onerosità del riscatto, avesse correttamente esercitato tale discrezionalità, in relazione alle peculiarità proprie dell’impiego militare rispetto a quello civile, con particolare riguardo ai più bassi limiti di età per la cessazione dal servizio stabiliti per i militari (con conseguente maggior difficoltà, rispetto ai civili, di raggiungere il massimo dell’anzianità per il trattamento di quiescenza).
Avere ignorato che il limite di età per la cessazione dal servizio del personale civile e militare delle Forze di polizia è stato omogeneizzato, è davvero sconcertante.
Al riguardo, va evidenziato che i funzionari di polizia sono penalizzati anche dal fatto che l’età anagrafica media di immissione in servizio è superiore di almeno 7/8 anni rispetto a quella degli ufficiali delle forze ad ordinamento militare, con evidenti effetti negativi sul trattamento pensionistico basato sul sistema contributivo.
Infatti, a differenza della diversa età anagrafica di accesso al ruolo, 27/30 anni rispetto a 19/22 anni degli ufficiali, quella di pensionamento, dopo aver svolto peculiari, gravosi e analoghi compiti, è uguale per tutto il personale delle Forze di Polizia, il cui collocamento in pensione per raggiunti limiti di età è al compimento dei 60 anni, il che determina una minore anzianità contributiva ai fini pensionistici dei Funzionari di Polizia rispetto al personale militare.
Dal punto di vista dell’età di accesso al servizio, tale penalizzazione varrebbe anche per gli ufficiali assunti tramite concorso, ai quali viene richiesto il possesso della laurea quinquennale, ma in realtà la citata penalizzazione viene compensata dal computo gratuito degli anni di studi universitari, riconosciuto al solo personale militare.
La Corte, inoltre, non ha tenuto conto del fatto che negli ultimi anni il legislatore è intervenuto sull’assetto pensionistico delle Forze di polizia a ordinamento civile e militare, con un’evidente tendenza alla omogeneizzazione dei contenuti degli specifici istituti previdenziali.
Questi gli interventi di maggiore rilievo:
Questa tendenza all’omogeneizzazione dei trattamenti pensionistici per il personale di tutte le Forze di polizia, indipendentemente dallo status civile o militare rivestito, si colloca all’interno di un più generale processo di equiordinazione dei trattamenti giuridici e perequazione di quelli economici.
Questi gli interventi di maggiore rilievo:
Le ragioni della citata tendenza legislativa alla omogeneizzazione dei trattamenti del personale civile e militare delle Forze di polizia, vanno ricercate nell’esigenza di assicurare analoghe condizioni, giuridiche ed economiche, durante il servizio attivo ma anche in quiescenza, a personale che condivide, pur nella diversa specializzazione professionale, le funzioni e le responsabilità di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, di ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, di appartenenti alla forza pubblica a disposizione dello Stato in tutte le esigenze riguardanti l’ordine pubblico e la sicurezza, le catastrofi naturali, le emergenze sanitarie.
È un’esigenza, questa della equiordinazione e perequazione degli assetti normativi del personale delle Forze di polizia, che si è persino rafforzata con la riforma dell’Amministrazione della Pubblica sicurezza, attuata con la legge 121 del 1981. Perché il passaggio della Polizia di Stato ad un ordinamento civile non fu considerato, correttamente, come un elemento di divaricazione operativa e gestionale tra le Forze di polizia, che infatti hanno visto crescere il coordinamento e le forti analogie funzionali, ma come un passaggio obbligato per giungere al riconoscimento delle libertà sindacali, sia pure nell’ambito dei limiti fissati dalla legge.
Infatti, la struttura della Polizia di Stato, ha comunque mantenuto al suo interno un assetto fortemente gerarchizzato, analogo a quello dei Corpi di polizia a ordinamento militare, adeguato quindi ai compiti di un corpo armato. Analogamente, il personale di quei Corpi e di quelle Amministrazioni, ha conosciuto un rapporto d’impiego sempre più allineato, in forza di un principio di uguaglianza sostanziale delle funzioni e delle responsabilità, ma anche delle limitazioni alle libertà personali e dei maggiori rischi e disagi rispetto al pubblico impiego generale, costantemente riconosciuti agli appartenenti al Comparto sicurezza.
Questo orientamento legislativo della equiordinazione e perequazione degli assetti normativi si è manifestato con maggiore evidenza di recente, in occasione dell’estensione dell’art. 54 del Testo Unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Misura del trattamento normale), al personale delle Forze di polizia civili. In quella circostanza, infatti, il legislatore ha sì eliminato un’importante sperequazione di natura previdenziale, ma lo ha fatto dichiarando, in norma, che ciò avviene in forza del principio di specificità, ed anche, attraverso l’esplicitazione che questa estensione è parte integrante di un unico principio legislativo: “L’applicazione dell’articolo 54 al personale della Polizia di Stato e della Polizia penitenziaria rientra nell’ambito delle iniziative volte ad allineare il trattamento pensionistico a tutto il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, assicurando omogenee modalità di calcolo ai fini della determinazione dell’assegno di pensione” (Relazione illustrativa, A.S. 2448/2021, DDL Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022 – 2024, art. 28, approvato senza modificazioni, e divenuto art. 1, comma 101, legge 30 dicembre 2021, n. 234).
Per il Governo si pone, oggi, il tema della continuità legislativa degli ultimi decenni nell’allineamento della normativa pensionistica tra personale civile e militare del comparto sicurezza, anche con riferimento all’unico istituto, il computo gratuito degli anni di studi universitari, che risulta ormai “disallineato” rispetto al citato principio di perequazione e allineamento degli assetti pensionistici del personale del Comparto sicurezza, a prescindere dallo status.
Esigenza di continuità legislativa, che non è in contrasto, peraltro, con i contenuti della citata sentenza della Corte costituzionale n. 270 del 2022, che ha ribadito ancora “la discrezionalità di cui gode il legislatore in materia di regolazione del riscatto sia nello scegliere i periodi ammissibili sia nel determinarne le modalità, sia nello stabilire se porre a carico dell’interessato il relativo onere finanziario in tutto o in parte”.
I Funzionari della Polizia di Stato auspicano un’iniziativa di Governo e parlamentare che rimuova questa irragionevole sperequazione tra personale militare e personale civile della Polizia di Stato, attraverso un intervento che abbia spirito analogo alla pronuncia della Corte costituzionale n. 120 del 2018. Con quella decisione, infatti, la Corte ha eliminato una grave disparità di trattamento in materia di diritti sindacali, ai danni del personale militare, guardando al diritto di uguaglianza sostanziale delle libertà fondamentali del personale militare, nel raffronto con il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile, superando così ogni sproporzionato utilizzo dello status militare come unico metro di misura del perimetro di quelle libertà.
L’A.N.F.P. è ovviamente consapevole che la questione in discussione non ha, certamente, la rilevanza di quella oggetto della citata sentenza del 2018. Tuttavia, è convinta che anche il principio oggi in discussione, cioè quello dell’uguaglianza sostanziale degli assetti pensionistici tra personale del Comparto sicurezza, meriti di essere riconosciuto e tutelato, attraverso una visione che non sia fondata sulla mera diversità di status, ma, in linea con la tendenza legislativa in atto, sulle concrete e comuni peculiarità d’impiego di questo personale, al di là dello status posseduto.
Noi auspichiamo che il Governo faccia una scelta, su questo punto, di continuità e non di discontinuità legislativa, perché quest’ultima metterebbe in discussione la sua volontà politica di tutelare concretamente il personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato.
Al contempo noi auspichiamo, Signor Ministro, che Lei, in continuità con l’impegno dimostrato in precedenti incarichi per l’affermazione dei principi di perequazione ed equiordinazione del personale del Comparto Sicurezza e Difesa, voglia essere parte attiva in una iniziativa legislativa tendente a estendere il computo gratuito degli anni di studi universitari ai Funzionari della Polizia di Stato che, nonostante i gravosi compiti svolti con sacrificio e responsabilità sono ancora, su questo versante, particolarmente penalizzati.
Roma, 30 gennaio 2023
Enzo Marco Letizia