214-16letteraSignor Ministro,

gli eventi che hanno caratterizzato la giornata romana del 14 dicembre scorso hanno messo in luce la necessità di compiere una profonda riflessione sul tema del mantenimento dell’ordine pubblico, componente essenziale della sicurezza civile e democratica.
Riteniamo certamente sbrigativo e ingenuo liquidare quegli avvenimenti come mere manifestazioni cruenti e irrazionali di bande di teppisti, magari capitanate da soggetti esperti, più o meno occulti. È senz’altro anche così. Tuttavia in piazza, quel giorno, tristemente penalizzati dalle violenze di un numero nemmeno tanto esiguo di professionisti del conflitto, c’erano giovani che, pur subendone la pressione, erano andati a manifestare un malessere che merita di essere interpretato e a cui vanno date risposte politiche, costruttive, propositive e non unicamente repressive.
Avviene ormai di frequente che le Forze dell’ordine finiscano per rappresentare l’ultimo anello, troppo esposto, di una serie di assenze, inefficienze, inaccettabili rinvii o anche – e forse è proprio questo il caso se un ruolo così importante ha giocato l’atteggiamento di disponibilità della massima carica dello Stato nel sedare gli animi e ricondurre alla moderazione – del ridotto esercizio di quella attività di ascolto delle ragioni dei cittadini che dovrebbe costituire una delle qualità primarie di una democrazia.
Vediamo irrompere nuovi soggetti e nuovi attori dell’antagonismo, spregiudicati o disperati, che mostrano di possedere un inquietante know how nell’organizzare forme di contestazione, sofisticate e pericolosissime. Già in occasione dei recenti avvenimenti, ad esempio, è stato accertato che la circolazione di “parole d’ordine” e la diffusione di particolari tattiche di contestazione avveniva tramite il web e i social network o attraverso la rete satellitare dei telefoni mobili. E non è trascurabile lo sfrontato ricorso a tutte le modalità proprie della guerriglia urbana ed ad ogni possibile tipologia di armi improprie.
Si tratta, dunque, di stabilire risposte adeguate in termini di preparazione, professionalità e competenza, di mettere a punto un’articolata ed efficace tutela dell’apparato delle Forze dell’ordine, ricorrendo a mezzi di controllo e difesa tecnologicamente adeguati. Si tratta anche di esaltare ruoli già scritti e specifiche conoscenze di settore, per porre in atto una proficua azione di monitoraggio sul territorio e per sviluppare “abilità” idonee ad individuare procedure e interventi negoziali e di “ingegneria del consenso”, nell’assoluta convizione che il coinvolgimento dei diversi attori sociali costituisca un’insostituibile strumento di conoscenza, prevenzione dei conflitti e gestione dell’ordine pubblico.
Ma queste iniziative – al pari dell’ormai indilazionabile necessità di ripianare gli organici ed assicurare il dovuto riconoscimento delle professionalità e dell’impegno, sotto il profilo economico e della progressione in carriera – richiedono una precisa volontà politica e lo stanziamento di opportune risorse, a meno di voler accettare supinamente la perdita del ruolo e dell’autorità delle istituzioni e quella dell’identità e delle funzioni delle Forze dell’ordine. E, soprattutto, a meno di volersi arrendere ad una pericolossisima e difficilmente arrestabile deriva delle tensioni sociali, con un conseguente oggettivo abbassamento del livello di sicurezza pubblica e con le inevitabili ripercussioni sul livello di “sicurezza percepita” e sui fondamentali vincoli di coesione sociale, oggi più che mai utili nell’affrontare la grave crisi economica, che si configura anche come crisi morale e della partecipazione.
Per fronteggiare adeguatamente le nuove conflittualità non bastano più la sola professionalità, il coraggio, la dedizione al servizio e l’equilibrio assicurato – nella generalità dei casi – dalle Forze dell’ordine, ma si rende necessario modernizzare gli equipaggiamenti e le tecnologie ormai obsolete ed inadatte ad assicurare un’efficace protezione ai nostri operatori. Ed è indispensabile una formazione costante e professionale.
Ed infatti, i più recenti avvenimenti ci dimostrano che non è più possibile affidarsi all’efficacia dei lacrimogeni, sparati con i lanciagranate da 40 mm, che si sono rilevati inefficienti e che vengono rilanciati come boomerang dai professionisti della guerriglia, tanto che proprio le Forze dell’ordine finiscono per subirne gli effetti. È necessario dotare le nostre unità di strumenti di difesa dal lancio di petardi e di altri prodotti progettati per esplodere a terra, che, nella colpevole tolleranza di tutti i soggetti interessati, continuano ad essere immessi sul mercato.
Gli episodi verificatisi a Roma hanno evidenziato carenze gravissime in fatto di dotazioni ed equipaggiamento del personale: gli operatori posti a presidio di luoghi strategici si trovavano nell’impossibilità di allontanarsi dal punto dell’imminente esplosione e, indossando il casco, non avevano modo di ripararsi dai rischi per il sistema uditivo, né di proteggere adeguatamente gli occhi. Di fronte all’onda d’urto dei manifestanti e alle armi generalmente utilizzate, gli strumenti di difesa, a cominciare dagli sfollagente di gomma, si rivelano inadatti a sortire effetti deterrenti e inadeguati a proteggere il personale dai colpi di bastone o di spranga.
Vanno inoltre sviluppate tecnologie che, nelle fasi più concitate, siano in grado di garantire continuità e qualità delle comunicazioni radio, oggi affidate a vecchie radio portatili, ingombranti, pesanti e di ostacolo alla mobilità di chi deve intervenire nei momenti di scontro.
E, d’altro canto, inferiori alle aspettative si è rivelata anche la rete TETRA, tecnologia ormai superata e sulla quale l’Amministrazione ha riversato ingentissime risorse, che potrebbe essere comunque potenziata con le più moderne tecnologie nel campo delle comunicazioni, mediante lo sviluppo di radio portatili con grande portata di trasmissione, batterie al litio con oltre 18 ore di autonomia, dalle dimensioni di un telefono cellulare ed a costi quasi irrisori.
Ma l’area più critica dell’attuale situazione di conclamata debolezza del nostro apparato è rappresentata dal problema generazionale e dall’elevata età media dei Funzionari e dei quadri tutti, che supera abbondantemente i quarant’anni, con inevitabili ripercussioni sul rendimento delle squadre esposte a rischio, in condizioni difficili anche dal punto di vista psicologico.
La manifestazione di quel martedì di dicembre, secondo quanto appreso dai giornali e denunziato dalle Associazioni di categoria, ha prodotto circa 20 milioni di Euro di danni. Se a ciò si dovessero aggiungere anche i costi delle giornate lavorative perse da tutto il personale rimasto ferito e quello degli indennizzi che l’Amministrazione dovrà risarcire a chi ha riportato le lesioni più gravi, se ne ricaverebbe una cifra decisamente più elevata.
Riteniamo cetamente più produttivo e lungimirante invetire in risorse e formazione, finalizzate ad assicurare una migliore riuscita dei servizi di ordine pubblico, anziché ridursi sistematicamente ad operare la triste conta dei feriti e a risarcire i danni, agli operatori di polizia ed alla collettività tutta.
I fatti di Genova, le più recenti manifestazioni, le centinaia di pesanti servizi presso gli impianti sportivi, evidenziano indiscutibilmente tale necessità di adeguamento. La c.d. “carica di alleggerimento”, da sola, non è più sufficiente a disperdere i manifestanti in occasione di certe violenze.
Rivolgiamo a Lei, Signor Ministro, certi della Sua disponibilità ad accoglierla, un’istanza ormai diffusa e radicata in tutti i nostri appartenenti: è indilazionabile la necessità di adeguare le dotazioni della Polizia di Stato (le più vetuste in assoluto in Italia) se non a quelle già da tempo in uso presso le polizie degli altri Paesi europei, almeno a quelle dell’Arma dei Carabinieri, che, ad esempio, ha sostituito i manganelli in gomma con il c.d. “tonfa” che garantisce, tra l’altro, una maggior protezione dai colpi inferti con spranghe e mazze.
Sarebbe opportuno valutare l’equipaggiamento con scudi realizzati con materiali più moderni e leggeri, ma al tempo stesso più resistenti, quali il Dyneema ed il Kevlar (lo stesso materiale dei caschi da motociclista); impiegare i moderni erogatori individuali di Oleoresin Capsicum a getto balistico, che consentono di rendere inoffensiva una o più persone contemporaneamente, anche da 5-7 metri di distanza (peraltro di libera vendità, nonostante le perplessità a suo tempo esposte anche dalla nostra Associazione), di peso e costo contenuto, che potrebbero consentire di fronteggiare molte situazioni di O.P. limitando il contatto fisico tra polizia e dimostranti; migliorare gli strumenti di difesa passiva con uniformi ed accessori adeguatamente strutturati per la protezione degli operatori e per la sicurezza dei servizi. Una fondina interna per la custodia della pistola, ad esempio, sarebbe un accorgimento che potrebbe garantire maggiore sicurezza all’operatore e preservarlo da tentativi di sottrazione dell’arma (l’immagine del finanziere che protegge la sua pistola è ancora nei nostri occhi).
Negli U.S.A., inoltre, molti corpi di polizia usano da anni i fucili “marcatori”, armi ad aria compressa che sparano sfere di plastica contenenti vernice colorata, con cui è possibile individuare ed identificare, anche dopo che è cessata l’emergenza, i soggetti più facinorosi e pericolosi.
Andrebbe studiato l’impiego di proiettili di gomma, che se di tipo adeguato e se usati da personale rigorosamente addestrato, sono innocui, ma di grande efficacia contro i violenti (da diversi anni sono del resto in commercio munizioni calibro 12 con proiettili in gomma “a soffietto”, che al momento dell’impatto si allargano fino a raggiungere un diametro di diversi centimetri).
In Francia i poliziotti sono stati dotati di strumenti tecnologicamente avanzati, come microtelecamere della grandezza di un auricolare, con un’autonomia di circa 3 ore, per documentare interventi di ordine pubblico o altre azioni particolarmente sensibili ed a rischio, al fine di evitare sia riprese parziali o mistificatorie sia di predisporre prove inconfutabili per l’Autorità Giudiziaria. Si potrebbero così evitare le polemiche, tanto inutili quanto dannose, che seguono solitamente le scarcerazione dei fermati in occasione degli scontri con la polizia.
Al riguardo, possono essere impiegate con profitto parte delle risose provenienti dal fondo unico di giustizia.
Si tratta solo di una serie di indicazioni, di esempi utili ad aprire una proficua interlocuzione con gli “addetti ai lavori”, di riflessioni largamente condivise dal personale e maturate nella quotidiana pratica svolta sul territorio, che ci pregiamo di sottoporLe nel consueto spirito di collaborazione, con l’intento di fornire un concreto contributo alla gestione di un settore di rilevanza strategica per la civile e democratica convivenza nel nostro Paese, in cui troppo spesso sono esposti ad inaccettabili (ed in parte evitabili) rischi l’incolumità degli operatori di polizia, degli stessi manifestanti e dei cittadini tutti, oltre che il nostro meraviglioso patrimonio artistico e culturale.
Roma, 1 febbraio 2010

Ripresa da Ansa, Agi, Adnkronos, Asca

LA LETTERA