Oggetto: Esame del disegno di legge n. 1236 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). Audizione informale 17 ottobre 2024.

 

 

Ai Presidenti delle Commissioni riunite

Affari Costituzionali e Giustizia

del Senato della Repubblica

 

 

 

INTRODUZIONE

Signori Senatori, abbiamo scelto di avere un sindacato dei poliziotti libero, forte, indipendente, ispirato ai valori del movimento sindacale organizzato in confederazioni autonome dalla politica, che sia anche baluardo contro tutti coloro che attentano alla libertà dei cittadini e dello Stato. Non solo uno strumento di tutela dei lavoratori di polizia e delle funzioni e dei poteri loro affidati, del ruolo delle Autorità di Pubblica Sicurezza e dei Dirigenti di PS preposti alla governance dell’ordine pubblico sui nostri luoghi di lavoro, le piazze e le strade del nostro paese e ogni sito sensibile delle nostre infrastrutture, marine, aeree e terrestri, ma anche sentinella delle nostre libertà, per una società di persone libere che vivono in pace.

I fatti che da tempo si verificano nelle pubbliche manifestazioni di dissenso, e che vedono le piazze e le strade teatro di aggressioni violente alle forze di polizia da parte di manifestanti che cercano esclusivamente lo scontro con donne e uomini in uniforme mentre espletano il proprio lavoro al servizio dello Stato, lasciano sempre una ferita profonda e, per certi versi, hanno aperto e lasciato irrisolti per troppo tempo una serie di interrogativi che hanno pervaso i poliziotti e i cittadini: l’ordine pubblico è condizione di libertà o condiziona la libertà?

Questa è la domanda a cui, dopo anni, le forze politiche, il Governo e il Parlamento devono dare risposte concrete che superino le polemiche e le contrapposizioni già battute. Al fine di offrire il nostro contributo costruttivo all’esame del DL n. 1236, dal nostro punto di vista, occorre partire dalla concezione che ognuno di noi ha di “ordine pubblico”, cosa si intende per sicurezza pubblica, superando i soggettivismi e le diverse estrazioni culturali e politiche che tendono a emergere e a prevalere.

 

I costituzionalisti sostengono che la sicurezza pubblica è quel bene che garantisce non solo l’incolumità fisica dei cittadini, ma anche l’integrità dei loro beni materiali e immateriali. L’ordine pubblico evoca due diversi interessi, entrambi di rilievo costituzionale: da una parte i diritti di libertà di quanti intendono incontrarsi e pacificamente discutere e manifestare, dall’altra, l’interesse dell’intera collettività, che non può né deve subire pregiudizio alla propria sicurezza e libertà.

Le strategie che la polizia adotta per contemperare la tutela di questi due diritti non antagonisti vengono percepite spesso in maniera contraddittoria. I cittadini finiscono col vedere i due diritti come interessi contrapposti, al punto da ritenere che lo Stato, in quel momento rappresentato dalle forze di polizia, stia tutelando l’uno a discapito dell’altro. Così, l’intervento repressivo che si manifesta quando il diritto di riunirsi perde le sue connotazioni pacifiche e si trasforma in azioni violente, anche con l’uso di armi proprie e improprie, viene spesso vissuto come una violazione dei diritti primari di libertà.

Per noi operatori di polizia, democratici convinti e sostenitori della libertà di manifestare, è invece assolutamente chiaro che l’uso della forza deve avvenire solo in occasione di manifestazioni violente (è noto che la violenza, specie quando esercitata in gruppo, si manifesta in diverse forme e modalità) e armate, e solo dopo che le diverse azioni preventive poste in essere dalla polizia attraverso il dialogo, tese a scongiurare la possibilità di scontri, non abbiano raggiunto l’obiettivo. A meno che non si individuino nuovi modi per sedare gruppi o folle violente, come avvenuto a Roma il 5 ottobre durante la manifestazione pro-palestinese, legittimamente non autorizzata dalle competenti Autorità Provinciali di Pubblica Sicurezza.

 

CONTESTO

Il contesto normativo che disciplina la sicurezza pubblica e la tutela del personale delle Forze di polizia si inserisce in un quadro complesso e dinamico, che tiene conto delle crescenti sfide che il personale di polizia affronta, specialmente in occasione di manifestazioni pubbliche e in situazioni di ordine pubblico.

Le manifestazioni pubbliche sono riconosciute come un diritto costituzionale, tuttavia, la gestione di questi eventi comporta un significativo rischio per la sicurezza, sia per gli agenti di polizia che per i cittadini. Negli ultimi anni, le forze dell’ordine si sono trovate a fronteggiare un aumento delle tensioni sociali e politiche durante cortei e proteste, spesso degenerati in episodi di premeditata violenza. Tali situazioni hanno evidenziato la necessità inderogabile di rafforzare il quadro normativo, con l’introduzione di strumenti legali più efficaci per tutelare l’operato degli agenti e garantire il mantenimento dell’ordine pubblico.

Dal punto di vista operativo, la tutela dell’ordine pubblico comporta una delicata gestione degli equilibri tra il diritto di esprimere dissenso e la necessità di garantire la sicurezza della collettività. La normativa del disegno di legge in esame affronta, tra l’altro, misure che rafforzano la protezione legale per il personale di polizia, in particolare quando coinvolto in episodi di violenza durante il servizio. La gestione dell’ordine pubblico nelle manifestazioni, che nel solo 2023 ha richiesto l’impiego di decine e decine di migliaia di agenti, mette in evidenza il crescente bisogno di un adeguato supporto legislativo.

In questo quadro, l’Atto Senato 1236 rappresenta una risposta necessaria per migliorare le condizioni operative del personale di polizia e garantire una maggiore sicurezza per tutti, favorendo al contempo la prevenzione e la repressione delle violenze a danno delle forze di polizia e dei beni pubblici e privati.

 

FLAGRANZA DIFFERITA PER LESIONI AL PERSONALE

DELLE FORZE DI POLIZIA IN ORDINE PUBBLICO

L’estensione dell’istituto dell’arresto in flagranza differita, previsto nell’art. 13 dell’Atto Senato 1236, anche per il reato di lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle relative funzioni in contesti di ordine pubblico, rappresenta un avanzamento cruciale per la tutela della legalità e della sicurezza operativa degli agenti.

In contesti di ordine pubblico, la lesione ad un agente di polizia giudiziaria non è solo un attacco fisico, ma un attentato al funzionamento dell’apparato di sicurezza dello Stato ed all’Autorità di Pubblica Sicurezza che rappresenta.

La nuova disposizione che estende l’arresto in flagranza differita a chi compie atti violenti contro un ufficiale di polizia giudiziaria non fa che confermare l’importanza di una risposta immediata e risolutiva alle aggressioni subite dai rappresentanti delle forze di polizia. Nel quadro della tutela dell’ordine pubblico, questa misura contribuisce a rafforzare il rispetto dell’autorità di fronte ad atti violenti e intimidatori.

In occasione di manifestazioni pubbliche e altre situazioni di ordine pubblico, le forze di polizia si trovano spesso ad affrontare scontri complessi, con un elevato rischio di violenza collettiva. Spesso gli episodi di lesioni personali non possono essere immediatamente perseguiti a causa della difficoltà di identificare durante gli scontri gli aggressori in tempo reale. L’arresto in flagranza differita, già utilizzato per i reati legati alla violenza durante manifestazioni sportive, si è rivelato uno strumento efficace per superare questo ostacolo, permettendo alle forze di polizia di procedere con l’arresto anche a posteriori, sulla base di documentazione video o fotografica dalla quale emerga il fatto reato ed il suo autore.

L’introduzione di questa misura per le lesioni personali subite dagli operatori di polizia risponde ad una duplice esigenza: la prima finalizzata a garantire una risposta giuridica adeguata alla gravità dell’atto compiuto, la seconda mira a proteggere l’operatività degli agenti in contesti particolarmente tesi come quelli delle manifestazioni pubbliche. L’obiettivo è quello di evitare che gli autori di reati contro le forze di polizia rimangano impuniti solo perché l’arresto immediato non è stato possibile, riducendo così la sensazione di impunità e rafforzando l’efficacia dell’azione preventiva delle forze di sicurezza.

Infine, estendere la flagranza differita a chi commette lesioni personali contro un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza rappresenta un significativo rafforzamento delle tutele legali per le forze di polizia e una maggiore capacità dello Stato di mantenere l’ordine pubblico e proteggere i suoi rappresentanti, che operano quotidianamente in prima linea.

INASPRIMENTO PENE PER VIOLENZA O MINACCIA

AL PERSONALE DELLE FORZE DELL’ORDINE

L’aggravamento delle pene per i delitti di violenza o minaccia ad un pubblico ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, prevista dall’art.19 dell’Atto Senato n.1236, costituisce una misura indispensabile per garantire la sicurezza del personale di polizia e per scoraggiare comportamenti violenti o intimidatori nei loro confronti. Tali reati, disciplinati dagli articoli 336 e seguenti del codice penale, si verificano con preoccupante frequenza, specialmente in contesti di ordine pubblico, manifestazioni e situazioni ad alto rischio. L’inasprimento delle pene mira a tutelare l’integrità fisica e morale degli operatori delle forze dell’ordine, che svolgono un ruolo cruciale nella protezione della collettività e nel mantenimento dell’ordine pubblico.

L’articolo 336 del codice penale disciplina i reati di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale e stabilisce pene significative per chi, con violenza o minaccia, ostacoli un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Analogamente, l’articolo 337 si concentra sul reato di resistenza a un pubblico ufficiale, che punisce chi oppone resistenza a un pubblico ufficiale nel tentativo di impedirgli di compiere il proprio dovere.

Il disegno di legge in esame, tramite l’articolo 19, introduce una circostanza aggravante specifica per questi delitti, qualora siano commessi contro un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza.

L’aggravamento delle pene risponde alla necessità di proteggere l’autorità dello Stato, incarnata dal personale delle forze dell’ordine. Questi, infatti, rappresentano il primo baluardo della legalità e ogni atto di violenza, minaccia o resistenza nei loro confronti non è solo un attacco all’individuo, ma anche un tentativo di indebolire il funzionamento dell’apparato statale e delle Autorità di Pubblica Sicurezza. Di conseguenza, l’inasprimento delle pene rafforza la fiducia nell’autorità statale e nel sistema di giustizia, dando un messaggio chiaro che ogni tentativo di ostacolare l’operato dei pubblici ufficiali sarà punito con maggiore severità.

Inoltre, ha una funzione deterrente per i comportamenti violenti poiché le situazioni di violenza e resistenza a pubblico ufficiale, soprattutto durante manifestazioni, sono purtroppo in aumento. L’inasprimento delle pene ha un importante effetto deterrente, scoraggiando coloro che potrebbero essere tentati di usare la violenza per contrastare le autorità. Quando un atto di resistenza si trasforma in violenza, infatti, non solo mette in pericolo l’incolumità degli agenti, ma può anche esacerbare la tensione sociale e condurre a situazioni di disordine incontrollabile.

Per di più, il personale delle forze di polizia opera in condizioni di costante pericolo, specialmente in contesti di ordine pubblico e in occasioni di proteste. Garantire loro una protezione maggiore attraverso un sistema sanzionatorio più adeguato rappresenta un passo avanti per salvaguardare la loro incolumità fisica e psicologica. Il legislatore, in questo senso, riconosce che il rischio affrontato dagli agenti in queste situazioni è significativamente più alto rispetto a contesti ordinari e che l’inasprimento delle pene è necessario per disincentivare i comportamenti pericolosi.

L’inasprimento delle pene agisce anche come strumento per prevenire la recidiva. Coloro che commettono reati di violenza o resistenza verso un pubblico ufficiale sono spesso coinvolti in situazioni di disobbedienza civile o attivismo violento. L’aggravamento delle sanzioni contribuirà a ridurre il rischio che questi individui possano ripetere tali comportamenti in futuro, creando un ambiente più sicuro sia per le forze di polizia che per i cittadini.

Perciò, l’introduzione della circostanza aggravante per i reati di violenza e resistenza ad un pubblico ufficiale, con un corrispondente aggravamento delle pene, è una misura essenziale per garantire la sicurezza del personale di polizia e preservare l’autorità dello Stato. Essa non solo mira a dissuadere atti di violenza contro i pubblici ufficiali, ma rappresenta anche una chiara risposta legislativa alle sfide attuali, dove il rispetto per l’autorità in ordine pubblico è spesso messo a dura prova. Questo intervento normativo si configura come un importante strumento per rafforzare la legalità e proteggere coloro che operano in prima linea per garantirla.

 

NUOVO REATO PER LESIONI PERSONALI

AGLI APPARTENENTI DELLE FORZE DELL’ORDINE

L’introduzione della nuova fattispecie di reato per le lesioni personali inflitte a ufficiali o agenti di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’esercizio delle loro funzioni, contenuta nell’articolo 20 del disegno di legge Atto Senato 1236, rappresenta un significativo riconoscimento della gravità di tali atti e un passo avanti nella tutela degli operatori delle forze dell’ordine. Questa misura risponde all’esigenza di offrire maggiore protezione legale agli agenti, spesso esposti a rischi elevati durante l’adempimento dei loro doveri, specialmente in contesti di ordine pubblico e manifestazioni. Si estende, così, l’ambito di applicazione dell’art. 583 quater c.p. che nella versione attualmente vigente è circoscritto alle lesioni patite in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive.

L’inserimento di questa nuova fattispecie nel codice penale sancisce che le lesioni personali inflitte a ufficiali di polizia giudiziaria non sono equiparabili ad altre forme di aggressione: si tratta, infatti, di atti che colpiscono direttamente l’integrità fisica di coloro che rappresentano lo Stato e la legalità. Questi attacchi non sono solo rivolti alla persona fisica dell’agente, ma minano l’autorità e l’efficienza delle istituzioni pubbliche che essi rappresentano.

La nuova fattispecie introduce sanzioni che variano in base alla gravità delle lesioni:

  • lesioni semplici: reclusione da 2 a 5 anni;
  • lesioni gravi: reclusione da 4 a 10 anni;
  • lesioni gravissime: reclusione da 8 a 16 anni.

Questo inasprimento della risposta penale dimostra la volontà del legislatore di trattare con estrema severità gli atti di violenza contro gli operatori di polizia, riconoscendone il ruolo fondamentale nella salvaguardia della sicurezza dei cittadini e delle Istituzioni.

Le donne e gli uomini delle forze di polizia sono spesso esposti a gravi rischi nell’esercizio delle loro funzioni, soprattutto quando si trovano a operare in situazioni di alto stress, come manifestazioni, proteste e/o operazioni di controllo del territorio. Questi contesti possono facilmente degenerare in episodi di violenza che mirano a intimidire o bloccare l’azione delle forze dell’ordine.

La violenza contro gli operatori non rappresenta solo un danno fisico, ma anche una minaccia alla capacità dello Stato di garantire sicurezza e legalità. È per questo che una risposta normativa forte e specifica, come l’introduzione della nuova fattispecie di reato, è indispensabile per garantire che chi si rende responsabile di tali atti sia sanzionato in maniera adeguata.

La previsione di pene più severe in caso di lesioni personali ai danni di un ufficiale di polizia in servizio mira non solo a punire in modo più efficace questi atti, ma anche a fungere da deterrente per futuri aggressori. La chiara definizione delle sanzioni per lesioni semplici, gravi e gravissime dimostra che il legislatore nell’accogliere le nostre doglianze, ha voluto graduare la risposta penale in base all’effettiva gravità del danno arrecato, in linea con il principio di proporzionalità delle pene.

Questa misura rafforza, inoltre, il concetto di flagranza differita, permettendo alle forze di polizia di procedere con l’arresto anche a distanza di 48 ore dall’evento, qualora sia possibile identificare l’autore attraverso prove documentali, come filmati o fotografie. Questo garantisce una maggiore efficacia nella repressione e prevenzione degli atti di violenza, anche in contesti caotici come le manifestazioni di massa.

L’introduzione della nuova fattispecie di reato per le lesioni personali a ufficiali di polizia giudiziaria in servizio rappresenta un ulteriore rafforzamento delle tutele legali a favore del personale di polizia. Si tratta di una misura necessaria e proporzionata per affrontare una problematica crescente, ovvero la violenza contro chi è chiamato a garantire l’ordine pubblico e la sicurezza della collettività.

Con questa modifica legislativa, il legislatore non solo riconosce la gravità degli atti di violenza contro i pubblici ufficiali, ma invia anche un segnale forte e chiaro: tali comportamenti non saranno più tollerati e saranno puniti. In questo modo, si contribuisce a creare un contesto di maggiore sicurezza per gli agenti e per tutti i cittadini.

 

TUTELA LEGALE

PER IL PERSONALE DELLE FORZE DELL’ORDINE

Il personale delle Forze di polizia si trova frequentemente coinvolto in procedimenti giudiziari derivanti da operazioni svolte durante il servizio. Il disegno di legge Atto Senato 1236 all’art.22 prevede il rafforzamento della tutela legale per il personale indagato o imputato per fatti inerenti il servizio, attraverso l’aumento del tetto massimo per le spese legali fino a 10.000 euro per ciascuna fase processuale. Questa disposizione rappresenta un importante riconoscimento delle difficoltà che gli operatori di polizia possono incontrare durante il servizio e offre un supporto concreto per affrontare gli oneri legali connessi.

Gli operatori di polizia si trovano spesso a operare in contesti difficili, caratterizzati da decisioni prese in tempi rapidi e sotto pressione. Questo espone il personale a rischi non solo fisici, ma anche legali, in quanto ogni intervento può potenzialmente dar luogo a denunce o procedimenti giudiziari. Il rischio che un appartenente alle Forze di polizia, pur operando in conformità alle leggi, possa essere coinvolto in procedimenti giudiziari è elevato e può comportare significative conseguenze finanziarie e psicologiche.

L’aumento del tetto massimo delle spese legali a 10.000 euro per ciascuna fase processuale (preliminare, dibattimentale ed in appello) è un sostegno fondamentale per il personale coinvolto in procedimenti giudiziari. Attualmente, il limite massimo per il rimborso delle spese legali è di 5.000 euro, una cifra spesso insufficiente a coprire i costi di un’adeguata difesa legale, soprattutto in processi complessi e di lunga durata. La previsione di un anticipo fino a 10.000 euro per fase processuale fornisce una garanzia di maggiore tutela e riduce il carico finanziario sugli agenti.

Un altro aspetto importante della norma è che l’anticipo delle spese legali non sarà soggetto a rivalsa in caso di archiviazione del procedimento o di una sentenza di non colpevolezza. Questo significa che il personale indagato od imputato non sarà tenuto a restituire le somme ricevute a titolo di anticipo, a meno che non emergano gravi profili di responsabilità disciplinare per negligenza. Tale disposizione mira a evitare che gli agenti si trovino in situazioni di vulnerabilità economica a seguito di procedimenti giudiziari che si concludono senza responsabilità penale.

Garantire una difesa legale adeguata è un diritto fondamentale per ogni individuo, incluso il personale di polizia. La normativa attuale, che prevede un contributo limitato alle spese legali, non sempre permette agli agenti di affrontare in modo adeguato la complessità di un procedimento giudiziario. L’innalzamento del tetto a 10.000 euro per fase processuale risponde alla necessità di assicurare che il personale abbia accesso a una difesa completa, senza che il costo finanziario diventi un ostacolo insormontabile.

Il personale di polizia, oltre ad essere sottoposto a pressioni fisiche e psicologiche durante il servizio, affronta spesso anche un forte stress emotivo quando sono coinvolti in procedimenti giudiziari. Sapere di poter contare su un adeguato supporto economico per la difesa legale può contribuire a ridurre lo stress legato alla gestione di un processo, migliorando così il benessere psicologico del personale.

Questa misura, oltre a offrire supporto concreto al personale delle Forze dell’ordine, funge anche da deterrente contro eventuali azioni legali strumentali o pretestuose, che potrebbero essere intentate per scoraggiare l’azione delle stesse. Con una tutela legale adeguata, gli agenti potranno affrontare con maggiore serenità procedimenti giudiziari, sapendo di avere il pieno supporto dell’amministrazione.

Quindi l’aumento del tetto massimo delle spese legali a 10.000 euro per ciascuna fase processuale rappresenta un supporto significativo per il personale delle forze dell’ordine coinvolto in procedimenti giudiziari legati al servizio. Tale misura riconosce l’importanza di garantire un adeguato supporto legale agli operatori, che operano in contesti complessi e rischiosi, e mira a tutelare non solo i diritti legali del personale, ma anche il loro benessere psicologico ed economico. Questa disposizione rafforza la fiducia degli agenti nella protezione offerta dall’Amministrazione, consentendo loro di svolgere le proprie funzioni con maggiore serenità e determinazione.

MAGGIORI SANZIONI

PER MANCATO RISPETTO AD INVITO A FERMARSI

L’inasprimento delle sanzioni per chi non rispetta l’invito a fermarsi, previsto dall’art. 25 dell’Atto Senato1236, intimato dagli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, è una misura essenziale per garantire l’autorità e la sicurezza degli operatori durante i controlli stradali. Tale disposizione si inserisce in un contesto normativo che mira a rendere più efficace la tutela dell’ordine pubblico ed a ridurre il rischio di incidenti o reazioni pericolose da parte di chi tenta di sfuggire ai controlli delle forze di polizia.

L’invito a fermarsi rappresenta un atto di autorità legittimo e necessario per consentire agli operatori di polizia di svolgere il proprio lavoro in sicurezza e in maniera efficace. Quando un automobilista ignora questo ordine, non solo compromette la propria sicurezza, ma mette a rischio anche quella degli agenti di polizia e di altri utenti della strada. In risposta a queste preoccupazioni, il disegno di legge in esame introduce un significativo inasprimento delle pene per la violazione dell’articolo 192 del Codice della Strada, che disciplina gli obblighi verso funzionari, ufficiali e agenti.

La norma prevede l’aumento delle sanzioni per chi non rispetta l’invito a fermarsi durante un controllo stradale, con sanzioni più severe per chi tenta di eludere l’azione delle forze dell’ordine, aggravando così il proprio comportamento. L’obiettivo è duplice: da un lato, dissuadere i conducenti dall’ignorare l’ordine di fermarsi, dall’altro, garantire la massima sicurezza agli agenti durante le operazioni di controllo.

L’invito a fermarsi è uno degli strumenti fondamentali di cui le forze dell’ordine dispongono per esercitare il controllo del territorio e garantire la sicurezza pubblica. L’inosservanza di questo ordine costituisce un atto di sfida e di disprezzo per l’autorità pubblica, che può facilmente degenerare in situazioni di maggiore gravità, come fughe ad alta velocità, inseguimenti e incidenti. L’inasprimento delle sanzioni si propone quindi di rafforzare il rispetto per l’autorità degli agenti e assicurare che il loro operato non venga ostacolato da comportamenti irresponsabili o intenzionalmente pericolosi.

Ignorare l’invito a fermarsi è spesso l’anticamera di comportamenti altamente pericolosi, come tentativi di fuga a velocità elevate o manovre rischiose che mettono in pericolo non solo gli agenti coinvolti nel controllo, ma anche gli altri utenti della strada. Rafforzando le sanzioni per questa infrazione, il legislatore intende ridurre drasticamente il numero di questi incidenti e garantire che i controlli stradali si svolgano in sicurezza per tutte le parti coinvolte.

L’aumento delle sanzioni per l’inosservanza dell’invito a fermarsi serve anche a scoraggiare comportamenti di resistenza passiva o attiva. Chi ignora un ordine della polizia rischia pene più severe, inclusi maggiori periodi di sospensione della patente e ammende più elevate. Questo effetto deterrente mira a ridurre il numero di violazioni, promuovendo un comportamento più responsabile da parte degli automobilisti. L’inasprimento delle pene agisce quindi come uno strumento di prevenzione, non solo per le singole violazioni, ma per un miglioramento complessivo della sicurezza stradale.

Il rafforzamento delle sanzioni permette agli operatori di polizia di operare con maggiore sicurezza e serenità durante i controlli stradali, sapendo di poter contare su strumenti normativi più incisivi. Inoltre, questa norma contribuisce a delineare un quadro normativo che premia la cooperazione e la correttezza degli automobilisti, dissuadendo chiunque pensi di poter ignorare impunemente l’autorità dello Stato.

Perciò l’inasprimento delle sanzioni per l’inosservanza dell’invito a fermarsi è una misura necessaria per tutelare l’autorità degli agenti di polizia e garantire la sicurezza durante i controlli stradali. Rafforzando le sanzioni, il legislatore intende promuovere il rispetto per l’ordine pubblico e ridurre i comportamenti pericolosi sulle strade, prevenendo incidenti e garantendo un controllo più efficiente del territorio. Questa disposizione, inserita nell’ambito delle misure a tutela del personale delle forze dell’ordine, rappresenta un passo importante per rafforzare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e per proteggere gli operatori di polizia da situazioni di rischio.

 

AGENTI DI PUBBLICA SICUREZZA

FACOLTA’ PORTO ARMI COMUNI DA SPARO

L’Atto Senato in esame all’art.28 prevede la possibilità per gli agenti di pubblica sicurezza di portare, senza licenza, armi comuni da sparo, anche fuori servizio. Questa norma si è rivelata oggetto di discussione, per alcune perplessità sollevate riguardo alla necessità di un tale provvedimento; poiché, gli agenti già dispongono della facoltà di portare l’arma di ordinanza senza bisogno di licenza. Tuttavia, questa misura risponde a esigenze concrete di operatività e sicurezza, specialmente in situazioni critiche o impreviste in cui l’agente non ha con sé l’arma di ordinanza, che è spesso scomoda da portare, soprattutto in determinati contesti climatici o sociali.

L’arma di ordinanza, generalmente una pistola semi-automatica, può risultare difficilmente occultabile e scomoda da trasportare, soprattutto durante i mesi estivi o in abiti civili. Questo crea un problema pratico per gli agenti che potrebbero trovarsi coinvolti in situazioni di emergenza, anche al di fuori del servizio, dove la necessità di intervenire prontamente richiede l’accesso o la disponibilità di un’arma. La nuova norma consente agli agenti di portare armi comuni da sparo, meno ingombranti e più facili da occultare rispetto all’arma di ordinanza.

Attualmente, fuori dal servizio gli agenti possono portare solo l’arma di ordinanza, ma questo non sempre è pratico o possibile in contesti informali o privati. La possibilità di avere un’arma comune (come una pistola di minori dimensioni) risponde alla necessità di garantire la sicurezza degli operatori in modo più efficace anche fuori dall’orario di servizio, quando potrebbero trovarsi ad affrontare situazioni di pericolo. Questa misura fornisce una protezione aggiuntiva in linea con le crescenti esigenze di sicurezza.

Alcune rimostranze affermano che questa disposizione conferisca agli agenti un “privilegio” eccessivo, permettendo loro di agire con un livello di autonomia superiore a quello di altri cittadini o pubblici ufficiali. Tuttavia, è importante chiarire che gli agenti di pubblica sicurezza sono figure istituzionali con compiti specifici di tutela della collettività, sia durante il servizio che fuori servizio, e l’accesso a un’arma comune fuori dall’orario di lavoro non rappresenta un privilegio, ma una misura di sicurezza aggiuntiva. Inoltre, il porto di armi comuni senza licenza risponde alle stesse norme di sicurezza e controllo previste per il porto di armi ordinanza, garantendo così che l’uso sia regolato e responsabile.

L’autorizzazione agli agenti di pubblica sicurezza a portare armi comuni da sparo senza licenza, anche fuori dal servizio, risponde ad un’esigenza concreta di sicurezza operativa e personale. Questa norma consente agli agenti di operare in modo più flessibile, in situazioni critiche, senza dover portare armi di ordinanza ingombranti. La misura non crea un privilegio ingiustificato, ma fornisce agli agenti gli strumenti per svolgere al meglio il loro compito di tutela della sicurezza pubblica.

 

ADOZIONE DELLE BODYCAM

L’adozione delle bodycam prevista dall’art. 21 dell’Atto Senato in esame rappresenta una significativa innovazione tecnologica e operativa che risponde alla crescente necessità di documentare le operazioni di ordine pubblico e di controllo del territorio. Il disegno di legge in discussione prevede un utilizzo più ampio di questi dispositivi per migliorare la trasparenza, la responsabilità operativa e la sicurezza degli agenti e dei cittadini. Il potenziale delle bodycam, già sperimentato e consolidato in molti Paesi, è finalmente riconosciuto come uno strumento essenziale per garantire operazioni di polizia più sicure ed efficienti.

Le bodycam offrono una registrazione video oggettiva ed immediata delle interazioni tra polizia e cittadini durante operazioni di ordine pubblico e attività di controllo del territorio. Questa documentazione diventa cruciale nei procedimenti giudiziari, poiché fornisce prove video inconfutabili che possono chiarire situazioni ambigue, contribuendo ad evitare contestazioni infondate ed a garantire che le operazioni vengano condotte sempre nel rispetto della legge e dei diritti umani.

Le riprese video costituiscono una protezione sia per gli agenti, che possono essere difesi da accuse di cattiva condotta, sia per i cittadini, poiché ogni interazione è registrata e verificabile. La consapevolezza di essere ripresi spesso induce a comportamenti più rispettosi e pacifici da entrambe le parti, contribuendo a ridurre le tensioni durante le operazioni di polizia. Questo effetto deterrente è uno dei principali benefici operativi delle bodycam, soprattutto in situazioni di alto rischio come le manifestazioni pubbliche.

L’introduzione delle bodycam migliora il livello di trasparenza delle operazioni di polizia, dimostrando che l’operato delle forze dell’ordine è improntato a criteri di correttezza professionale, trasparenza e legalità. La forza delle immagini costituisce un antidoto contro le strumentalizzazioni e la delegittimazione dell’operato delle forze di polizia, rafforzando così la fiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni.

Le registrazioni ottenute dalle bodycam possono essere utilizzate anche per fini formativi. L’analisi dei video permette di valutare le procedure seguite dagli agenti durante le operazioni, consentendo la correzione di eventuali errori ed il miglioramento delle pratiche operative. Questo contribuisce a un aumento complessivo della professionalità e dell’efficacia delle forze di polizia.

Perciò, l’utilizzo delle bodycam nelle operazioni di ordine pubblico e controllo del territorio rappresenta un elemento cruciale per la trasparenza, la sicurezza e l’efficacia delle forze di polizia. Questi dispositivi contribuiscono a migliorare le interazioni tra agenti e cittadini, proteggendo entrambe le parti da potenziali abusi o accuse infondate. Con l’adozione diffusa di tali strumenti, le forze dell’ordine potranno operare in modo più sicuro ed efficiente, rafforzando nel contempo la fiducia della collettività.

LIBERA CIRCOLAZIONE SU STRADA: IMPEDIMENTO

Il cuore della questione sollevata dall’Art. 14 dell’Atto Senato n. 1236 risiede nel delicato equilibrio tra il diritto costituzionale di manifestare e la necessità di tutelare gli altri diritti fondamentali, quali la libertà di circolazione, il diritto al lavoro, alla salute e allo studio. Questo bilanciamento rappresenta una delle sfide più complesse in una società democratica, in cui i diritti individuali e collettivi devono essere contemperati in modo che nessuno prevalga ingiustamente sugli altri.

In merito, per meglio comprendere il valore del bilanciamento dei diritti, occorre descrivere quali siano i rischi per la sicurezza, sia per i manifestanti che per gli altri utenti della strada, di una manifestazione improvvisa su una via ad alto scorrimento, come ad esempio il Grande Raccordo Anulare di Roma. Di seguito, i principali rischi associati a tali situazioni.

  1. Rischio di incidenti stradali.

Le strade ad alto scorrimento sono progettate per il traffico veloce e continuo. L’interruzione improvvisa della circolazione, senza preavviso o adeguate misure di sicurezza, può portare a incidenti gravi. Veicoli che viaggiano a velocità sostenute potrebbero non avere il tempo di fermarsi o deviare in modo sicuro, mettendo a rischio la vita dei manifestanti e degli automobilisti.

  1. Rischio per i soccorsi e i servizi di emergenza.

Bloccare una strada ad alto scorrimento può ostacolare il passaggio di veicoli di emergenza, come ambulanze, vigili del fuoco o polizia, impedendo interventi rapidi in situazioni critiche. Questo ritardo potrebbe avere conseguenze gravi in caso di incidenti, incendi o necessità di cure mediche urgenti.

  1. Crescita della tensione sociale.

Le manifestazioni improvvise, soprattutto in punti nevralgici del traffico, possono causare frustrazione e tensione tra i cittadini bloccati nel traffico. Questo può degenerare in scontri verbali o fisici tra manifestanti e automobilisti, con un aumento del rischio di conflitti e violenze.

  1. Rischio di panico e caos.

In una situazione di blocco stradale imprevisto, il panico può diffondersi tra gli automobilisti e i passanti, specialmente se non sono chiari i motivi della manifestazione o se vi è il timore di atti violenti. Il caos generato dalla mancanza di ordine e dalle comunicazioni confuse può aumentare il rischio di incidenti e feriti.

  1. Impatto economico e sociale.

Bloccare un’importante arteria di traffico può avere effetti a cascata sul traffico urbano e su altre infrastrutture di trasporto, creando ritardi e disagi per chi si sposta per lavoro o per motivi di salute. Questo può portare a perdite economiche per le aziende, difficoltà nell’approvvigionamento di beni e stress generalizzato per la popolazione coinvolta.

  1. Difficoltà di gestione da parte delle forze di polizia.

Una manifestazione improvvisa non dà il tempo alle forze dell’ordine di pianificare un adeguato controllo della folla, garantendo la sicurezza sia dei manifestanti che degli utenti della strada. L’assenza di un preavviso complica la gestione dell’ordine pubblico, con il rischio che l’intervento diventi caotico o non adeguato alle circostanze.

  1. Possibile infiltrazione di gruppi violenti.

Le manifestazioni improvvisate possono attirare gruppi o individui con intenti violenti o sovversivi, che possono sfruttare il disordine per compiere atti di vandalismo o aggressione. Ciò aumenta il rischio di danni a proprietà pubbliche o private e di escalation della violenza.

  1. Rischio per i pedoni.

In caso di manifestazioni su vie ad alto scorrimento i pedoni potrebbero trovarsi in situazioni di pericolo, sia per la mancanza di controllo del traffico che per eventuali fughe o movimenti disordinati della folla. L’assenza di protezioni adeguate su strade di grande traffico rende i pedoni particolarmente vulnerabili.

  1. Impatto sui trasporti pubblici.

Bloccare una strada ad alto scorrimento può avere effetti devastanti sul trasporto pubblico, in particolare su autobus e tram, che potrebbero rimanere bloccati per lunghi periodi. Ciò può causare ulteriori disagi per migliaia di pendolari, generando frustrazione e proteste.

  1. Rischio di atti estremi.

In alcuni casi, la tensione generata da manifestazioni improvvise in punti cruciali può portare a reazioni estreme, come tentativi di forzare il blocco da parte di automobilisti esasperati o manifestanti che reagiscono in modo violento alla presenza delle forze dell’ordine. Questo potrebbe provocare situazioni di pericolo immediato per la sicurezza pubblica.

Quindi, una manifestazione improvvisa su una via ad alto scorrimento comporta rischi significativi per la sicurezza, la salute e l’ordine pubblico. Una gestione adeguata e una comunicazione tempestiva possono ridurre questi pericoli, ma il contesto stesso di un blocco improvviso rende difficile prevenire tutte le conseguenze potenzialmente gravi.

 

Pertanto, può essere meglio compresa la valenza dell’art. 17 della Costituzione italiana che garantisce il diritto di riunirsi e di manifestare pacificamente. Si tratta di un diritto essenziale per la vita democratica del Paese, poiché permette ai cittadini di esprimere il proprio dissenso, rivendicare diritti ed avanzare richieste di cambiamento. Tuttavia, la Costituzione stessa prevede dei limiti al suo esercizio, in particolare quando la libertà di manifestare entra in conflitto con altri diritti parimenti tutelati. Infatti, nello stesso articolo 17 della Costituzione è scritto chiaramente che “delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità”, ciò per diverse ragioni che sono cruciali per un Paese civile e democratico. Al riguardo, il preavviso delle manifestazioni, consente alle autorità di Pubblica Sicurezza, di pianificare e coordinare le risorse necessarie per garantire la sicurezza dei partecipanti, dei passanti e dei beni pubblici, essa consente agli stessi manifestanti di esercitare il loro diritto costituzionale della libertà di espressione, riunione ed associazione in modo organizzato e sicuro. Il preavviso permette all’autorità di pubblica sicurezza di adottare misure per mitigare gli eventuali disagi causati dal blocco delle strade. Permette, altresì, attraverso il dialogo con i promotori e gli organizzatori di condividere la pianificazione degli eventi e le prescrizioni per lo svolgimento delle stesse manifestazioni.

Il principio del bilanciamento dei diritti emerge quindi come fondamento dell’ordinamento democratico. La libertà di espressione e di manifestazione non può tradursi in una paralisi della vita sociale ed economica del Paese. È proprio qui che entra in gioco il ruolo delle leggi ordinamentali, come quella proposta nell’Atto Senato n. 1236, che mirano a disciplinare l’esercizio di questi diritti, affinché essi possano convivere con altre necessità essenziali della collettività.

L’art. 16 della Costituzione garantisce a ogni cittadino il diritto alla libera circolazione sul territorio nazionale, un diritto essenziale per il pieno svolgimento delle attività lavorative, scolastiche e sanitarie. Il blocco delle vie di comunicazione, come strade o ferrovie, può compromettere gravemente la capacità di esercitare tale diritto. Manifestazioni improvvise che impediscano la circolazione possono non solo creare disagi a livello locale, ma avere ripercussioni a catena su interi settori produttivi e servizi essenziali.

Il testo in esame introduce pene più severe per chiunque, riunito in gruppo, impedisca la circolazione stradale. È importante chiarire che non viene sanzionato il diritto alla manifestazione in sé, ma specificamente le condotte che portano al blocco delle infrastrutture viarie, le quali creano gravi ripercussioni per la mobilità e la sicurezza pubblica. Queste azioni possono causare danni considerevoli soprattutto a chi dipende dalla libera circolazione per accedere a servizi essenziali, come i lavoratori, gli studenti o chi necessita di cure mediche.

Il diritto al lavoro, sancito dall’art. 35 della Costituzione, costituisce un pilastro fondamentale della vita economica e sociale italiana. L’accesso al luogo di lavoro è essenziale per la dignità e la sicurezza economica del cittadino. Allo stesso modo, l’art. 32 della Costituzione tutela il diritto alla salute, che include il libero accesso ai servizi sanitari. Le manifestazioni che impediscono la libera circolazione possono, di fatto, ledere gravemente tali diritti, privando i cittadini della possibilità di svolgere il proprio lavoro o di ricevere cure mediche tempestive.

La normativa proposta dall’Art. 14 dell’Atto Senato n. 1236 si inserisce in questo quadro di bilanciamento, ponendosi come strumento per prevenire e sanzionare comportamenti che ne compromettano altri di pari importanza. La previsione dell’inasprimento delle pene per chi, riunito in gruppo, ostacoli la libera circolazione su strada non mira a sopprimere le manifestazioni, bensì a regolare l’uso di tale diritto in modo che esso non degeneri in abusi che colpiscano i diritti di altri cittadini.

Anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha più volte affermato che i diritti non sono assoluti, ma vanno bilanciati nel contesto della vita civile. In particolare, la Corte ha stabilito che i diritti di riunione e di manifestazione possono essere soggetti a limitazioni quando vi sia la necessità di tutelare la sicurezza pubblica, la salute e i diritti fondamentali di altri cittadini. Questo approccio trova applicazione anche in altre democrazie europee, dove la libertà di manifestazione è regolata in modo da prevenire e sanzionare comportamenti che sfocino in atti di violenza o blocchi indiscriminati della mobilità.

Un aspetto rilevante da considerare è che l’inasprimento delle pene previsto dalla norma è diretto a situazioni in cui il blocco della circolazione è organizzato da gruppi di persone, suggerendo una dimensione collettiva del comportamento che va oltre la mera espressione di dissenso. La previsione di una reclusione da sei mesi a due anni è finalizzata a dissuadere atti che violano in modo significativo la libertà di circolazione, pur mantenendo un criterio di proporzionalità tra il reato e la sanzione.

Un altro elemento di bilanciamento che emerge da questa proposta normativa è la necessità di garantire la serenità della vita quotidiana. Le manifestazioni non dovrebbero compromettere il diritto dei cittadini di svolgere le proprie attività in sicurezza e tranquillità. Questo principio si collega direttamente alla protezione delle fasce più deboli della popolazione, per le quali l’interruzione della mobilità può avere conseguenze gravi e immediate.

Il bilanciamento dei diritti, tra la libertà di manifestare e la necessità di garantire la mobilità e la sicurezza pubblica, è un processo complesso ma necessario. L’Atto Senato n. 1236, art. 14, affronta questo tema con un approccio volto a contemperare diritti di pari rango, promuovendo una convivenza armoniosa tra la libertà di espressione e la tutela della vita quotidiana dei cittadini. Vengono specificamente sanzionate le condotte che impediscono la circolazione stradale, preservando così il diritto alla mobilità e agli altri diritti essenziali, cio premesso restiamo fermamente contrari a comprimere il diritto di manifestare pacificamente ma nel rispetto delle prescrizioni e dei principi fissati dalla nostra carta costituzionale su detta delicata materia.

 

CONTRASTO AL CRIMINE

DIVIETO DI ACCESSO INFRASTRUTTURE TRASPORTI

L’Art. 13 dell’Atto Senato n. 1236 introduce un rilevante aggiornamento normativo che rafforza i poteri del Questore nel contrasto alla criminalità nelle aree delle infrastrutture di trasporto. Nello specifico, viene sancita la possibilità per il Questore di disporre il divieto di accesso a queste aree non solo per i soggetti già condannati, ma anche per coloro che siano stati denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nei cinque anni precedenti, per reati contro la persona o contro il patrimonio, commessi in aree di trasporto pubblico. Tale norma amplia e potenzia il ruolo delle Autorità di Pubblica Sicurezza nel controllo delle zone più vulnerabili della rete di trasporti, come stazioni ferroviarie, porti, aeroporti e metropolitane.

 

Le infrastrutture di trasporto pubblico sono da tempo oggetto di preoccupazione per la sicurezza pubblica. Per esempio le stazioni ferroviarie e le metropolitane, in particolare, si configurano spesso come luoghi a elevato rischio di microcriminalità e fenomeni di degrado urbano. In tali contesti, si registra frequentemente la presenza di soggetti dediti a reati quali furto, rapina, danneggiamento e lesioni personali, che compromettono la sicurezza dei cittadini e degli operatori del settore, oltre a influire negativamente sulla percezione della sicurezza nelle aree di transito.

L’esperienza concreta delle forze dell’ordine dimostra che episodi di microcriminalità e comportamenti delinquenziali tendono a proliferare in ambienti caratterizzati da un’alta densità di persone e dalla possibilità di confondersi nella folla. I soggetti più vulnerabili – come turisti, pendolari e persone con difficoltà motorie – sono spesso le principali vittime di furti e aggressioni in questi luoghi. Inoltre, le aree di trasporto pubblico, specialmente in determinate ore del giorno e della notte, possono diventare punti di aggregazione per individui dediti ad attività illecite.

La disposizione introdotta dall’Art. 13 consente al Questore di disporre il divieto di accesso nelle aree di trasporto pubblico per quei soggetti che risultino denunciati o condannati, anche in via non definitiva, per reati contro la persona o il patrimonio, commessi all’interno delle stesse aree nei cinque anni precedenti. Questo provvedimento rappresenta un importante passo avanti sotto il profilo della prevenzione del crimine e del degrado.

Le principali caratteristiche del nuovo strumento giuridico includono l’ampliamento dei soggetti destinatari del divieto che non sono solo coloro che hanno riportato condanne definitive, ma anche soggetti denunciati o condannati in via non definitiva che possono essere destinatari del divieto di accesso. Questo consente di adottare misure preventive tempestive nei confronti di individui che hanno già dimostrato una potenziale pericolosità. Il riferimento ai titoli XII e XIII del codice penale evidenzia come il legislatore abbia voluto colpire specificamente quei comportamenti che rappresentano un grave pericolo per l’incolumità fisica e patrimoniale dei cittadini, quali furto, rapina, lesioni e altri reati connessi al degrado urbano. Il Questore può emettere un divieto di accesso valido fino a due anni, consentendo, così, un controllo di lungo periodo sui soggetti più pericolosi, riducendo così il rischio di recidiva e garantendo un monitoraggio continuativo delle aree più critiche.

La norma ha evidenti finalità di prevenzione e tutela della sicurezza pubblica. La possibilità di adottare il divieto di accesso, anche nei confronti di soggetti non ancora condannati definitivamente, rappresenta uno strumento di prevenzione particolarmente efficace. In questo modo, si evita che individui potenzialmente pericolosi possano continuare a frequentare aree sensibili, così riducendo il rischio che compiano ulteriori reati. L’approccio proattivo alla prevenzione consente di intervenire prima che comportamenti criminosi si consolidino. La previsione di un divieto di accesso aumenta la deterrenza nei confronti di quei soggetti che operano abitualmente nelle aree di trasporto pubblico per commettere reati. L’impossibilità di accedere a queste zone per periodi prolungati rappresenta una dissuasione concreta, poiché impedisce loro di sfruttare tali spazi per attività illecite. Le aree di trasporto pubblico sono spesso afflitte da fenomeni di degrado, come la presenza di vagabondi, persone dedite all’accattonaggio molesto o alla piccola criminalità. Il nuovo potere consente di allontanare questi soggetti dalle aree più frequentate, migliorando non solo la sicurezza reale, ma anche la percezione della sicurezza da parte dei cittadini. Una gestione più ordinata e sicura delle infrastrutture di trasporto contribuisce a restituire decoro e vivibilità agli spazi pubblici.

Dalla prospettiva operativa, il nuovo potere attribuito al Questore offre alle forze dell’ordine uno strumento di intervento tempestivo e diretto per il controllo del territorio. Non si tratta solo di punire comportamenti criminali, ma di prevenire situazioni potenzialmente pericolose attraverso il monitoraggio e l’allontanamento di soggetti sospetti. Il divieto di accesso per individui pericolosi o dediti a comportamenti illeciti, consente di garantire un ambiente più sicuro per i cittadini ed una maggiore qualità del servizio di trasporto pubblico. I passeggeri possono viaggiare in condizioni di maggiore tranquillità e sicurezza e questo contribuisce ad incentivare l’uso del trasporto pubblico.

Pertanto, l’introduzione del nuovo potere del Questore in materia di divieto di accesso alle aree di trasporto pubblico si configura come una misura necessaria ed efficace per fronteggiare il fenomeno del degrado e della criminalità nelle aree infrastrutturali. La capacità di agire in via preventiva e la possibilità di estendere il divieto anche a soggetti non ancora condannati in via definitiva rappresentano due aspetti essenziali che rafforzano la capacità delle forze dell’ordine di garantire un ambiente sicuro e controllato. Questo strumento risponde alle esigenze concrete emerse dall’esperienza operativa e contribuisce a migliorare il livello di sicurezza percepito e reale all’interno delle infrastrutture di trasporto pubblico.

 

OCCUPAZIONE ARBITRARIA D’IMMOBILE

DESTINATO AL DOMICILIO

L’occupazione abusiva di immobili rappresenta una criticità sociale e giuridica significativa, con implicazioni dirette per la sicurezza abitativa e la tutela della proprietà privata. Infatti, essa rappresenta da tempo un problema di rilevante impatto sociale e giuridico in Italia, in particolare nelle grandi città e nei contesti urbani caratterizzati da alta densità abitativa. Tale fenomeno colpisce non solo i proprietari di immobili, che subiscono la sottrazione illegittima della propria abitazione, ma anche la collettività, poiché l’occupazione abusiva è spesso associata a forme di degrado sociale e criminalità. La fattispecie si distingue da altre forme di invasione di terreni o edifici (già previste dall’art. 633 c.p.) per il fatto che si applica esclusivamente a immobili destinati a domicilio, una scelta che sottolinea l’intento del legislatore di tutelare in maniera più stringente la sfera personale e familiare.

L’inclusione del termine “domicilio” enfatizza una protezione particolare per quei beni che costituiscono un ambito riservato e privato della vita personale, garantito dall’articolo 14 della Costituzione Italiana. La norma, infatti, non intende limitarsi alla tutela della proprietà in senso stretto, ma mira a proteggere in modo specifico il diritto all’abitazione, considerato un diritto fondamentale.

Con l’introduzione del nuovo articolo 634 bis del codice penale, il legislatore mira a fornire strumenti più incisivi per contrastare questa fattispecie di reato. Nel contempo, l’introduzione dell’art. 321 bis nel codice di procedura penale conferisce nuovi poteri agli ufficiali di polizia giudiziaria per garantire una reintegrazione tempestiva nel possesso dell’immobile. Tuttavia, si pongono criticità operative legate alla disponibilità di risorse umane delle forze di polizia e sarà fondamentale accelerare i procedimenti di assunzione di nuovo personale nelle forze dell’ordine, al fine di affrontare la crescita della mole di lavoro che il nuovo quadro normativo potrebbe ingenerare.

Il nuovo reato di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui” sanziona chiunque, senza titolo, occupi un immobile altrui destinato ad abitazione. La norma intende tutelare specificamente il diritto al domicilio, considerato un bene costituzionalmente protetto. Le sanzioni, che vanno da due a sette anni di reclusione, si applicano con particolare attenzione alla destinazione d’uso dell’immobile, garantendo una protezione più incisiva del diritto alla sicurezza e alla riservatezza dell’abitazione privata.

L’articolo 321 bis introduce un nuovo strumento che consente all’autorità giudiziaria di disporre l’immediata reintegrazione nel possesso dell’immobile a seguito di occupazione abusiva. Questo strumento procedurale offre una tutela immediata, grazie a un’ordinanza del giudice che diventa esecutiva con effetto immediato. Ciò mira a ridurre i tempi di attesa per i proprietari, prevenendo che l’occupazione abusiva si prolunghi nel tempo e crei ulteriori danni. Inoltre, nei casi in cui l’immobile occupato sia l’unica abitazione effettiva del denunciante, gli ufficiali di Polizia Giudiziaria, espletati i primi accertamenti, volti a verificare la sussistenza dell’arbitrarietà, si recano presso l’immobile del denunciante ed ove sussistano fondati motivi per ritenere arbitraria l’occupazione, nel caso di resistenza o rifiuto di eseguire l’ordine di rilascio, dispongono coattivamente il reintegro del possesso in capo al denunciante, previa autorizzazione del Pubblico Ministero, scritta oppure orale e confermata successivamente, anche per via telematica. Perciò, il potere d’iniziativa degli ufficiali di polizia giudiziaria viene potenziato. Essi diventano una figura centrale per la rapida gestione delle denunce e l’avvio delle procedure per l’emissione dell’ordinanza di restituzione da parte del giudice. Inoltre, il potere degli ufficiali di polizia giudiziaria è finalizzato a prevenire che situazioni di abuso prolungato si cristallizzino nel tempo, minando ulteriormente i diritti dei legittimi proprietari.

Al riguardo, una delle principali criticità che potrebbe emergere dall’applicazione della norma di cui condividiamo le finalità, è legata alla capacità operativa delle forze di polizia, che saranno chiamate a intervenire con prontezza, sia per eseguire le ordinanze di restituzione dell’immobile, sia pe gli accertamenti immediati. Il crescente numero di casi di occupazione abusiva potrebbe sovraccaricare un apparato già sottoposto a forti pressioni operative, mettendo a rischio l’efficacia delle nuove norme se non adeguatamente supportate da un aumento delle risorse umane. In questo contesto, è urgente che il Governo ponga attenzione alla dotazione organica delle forze di polizia. Le attuali difficoltà di assunzione e formazione, unite ai tempi burocratici di inserimento dei nuovi agenti, rischiano di rallentare le operazioni, vanificando la tempestività prevista dalle nuove disposizioni legislative. Pertanto, appare essenziale accelerare i procedimenti di assunzione nel comparto sicurezza, prevedendo una razionalizzazione dei percorsi formativi.

Perciò, l’introduzione dell’art. 634 bis e dell’art. 321 bis costituisce un importante passo avanti nella lotta contro l’occupazione abusiva, offrendo nuovi strumenti di intervento sia sul piano penale che su quello procedurale. Tuttavia, affinché queste disposizioni abbiano un impatto reale, sarà necessario investire in modo significativo sulle risorse umane delle forze di polizia, accelerando i procedimenti di assunzione e rivedendo la formazione del personale per garantire un’operatività più rapida ed efficace. Solo attraverso un adeguato supporto organizzativo e normativo sarà possibile garantire l’applicazione tempestiva delle nuove norme e proteggere al meglio i diritti dei cittadini.

 

ANTITERRORISMO

L’Atto Senato n. 1236 introduce modifiche significative nel quadro normativo italiano per la prevenzione del terrorismo e dei reati connessi, con un duplice obiettivo: rafforzare il controllo sulle condotte che possono agevolare attività terroristiche e potenziare i meccanismi di prevenzione ed investigazione anche attraverso una maggiore tracciabilità dei mezzi e strumenti utilizzati per commettere tali reati.

L’articolo 1 introduce l’art. 270 quinquies.3 nel Codice Penale, configurando come reato la condotta di chi consapevolmente si procura o detiene materiale contenente istruzioni sull’uso o la preparazione di congegni bellici, armi da fuoco, sostanze chimiche, batteriologiche o di qualsiasi altro strumento o tecnica per il compimento di atti di violenza o sabotaggio, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero od un organismo internazionale.

Questa disposizione risponde all’esigenza di colpire, non solo l’esecuzione concreta di atti terroristici, ma anche la fase preliminare di acquisizione di conoscenze e competenze finalizzate al compimento di tali atti. La norma, infatti, mira a neutralizzare la preparazione di attività terroristiche, intercettando anche i soggetti che, seppur non direttamente coinvolti in atti violenti, contribuiscono alla loro pianificazione.

In un contesto globale in cui la radicalizzazione spesso avviene tramite canali telematici ed in cui le istruzioni per compiere atti di violenza possono essere facilmente reperite online, l’ampliamento della sfera di punibilità risponde in modo efficace alla necessità di prevenzione, contrastando le nuove forme di terrorismo asimmetrico e non convenzionale.

La pratica investigativa evidenzia come i gruppi terroristici o singoli radicalizzati si affidino a una fase di autoformazione tecnica prima di passare all’azione. La possibilità d’intervenire in questa fase, quando gli individui ancora non hanno compiuto atti violenti, è cruciale per prevenire atti terroristici. L’esperienza delle forze di polizia dimostra che il controllo del flusso informativo, riguardante l’acquisizione di competenze tecniche, è una delle chiavi per anticipare le mosse di cellule terroristiche.

Il secondo intervento previsto all’art. 1 del disegno di legge in esame, riguarda l’aggiunta di un nuovo comma all’art. 435 del Codice Penale, in tema di fabbricazione o detenzione di materie esplodenti; con il quale viene punito con la reclusione, da sei mesi a quattro anni, chiunque, attraverso qualsiasi mezzo, anche telematico, distribuisce, divulga o pubblicizza materiale contenente istruzioni sull’uso di armi o sostanze esplodenti, asfissianti, accecanti, tossiche od infiammabili.

Questa disposizione estende la sfera di punibilità, includendo non solo chi detiene materiale di istruzioni per compiere atti di violenza, ma anche chi lo diffonde o lo pubblicizza, indipendentemente dall’effettiva partecipazione a tali atti. L’obiettivo è contrastare la proliferazione di informazioni tecniche pericolose, che oggi avviene prevalentemente attraverso piattaforme telematiche e social network.

La norma introduce una responsabilità penale chiara per coloro che, anche senza essere coinvolti necessariamente in azioni terroristiche, favoriscono la circolazione di informazioni che possono agevolare l’esecuzione di tali atti. In questo modo, si mira a colpire il sistema informativo che spesso alimenta la radicalizzazione e la violenza.

Il panorama attuale del terrorismo dimostra che le informazioni tecniche sono facilmente reperibili online, rendendo complessa la prevenzione. Grazie a questa norma, le forze dell’ordine potranno intervenire più tempestivamente e limitare la diffusione di tali contenuti, favorendo l’individuazione di soggetti che, pur non compiendo direttamente atti violenti, contribuiscono a creare un ambiente favorevole al terrorismo.

L’articolo 2 dell’atto Senato in esame, introduce modifiche all’art. 17 del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, concernente la prevenzione del terrorismo mediante prescrizioni in materia di noleggio di autoveicoli. In particolare, viene ampliato il campo d’applicazione della norma, includendo, oltre ai fini di prevenzione del terrorismo, anche i reati di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del Codice di Procedura Penale, altresì, prevedendo un maggior controllo sui dati identificativi del veicolo (numero di targa, telaio, mutamenti di proprietà, subnoleggi).

L’estensione delle prescrizioni sui contratti di noleggio di autoveicoli si inserisce in un’ottica di prevenzione più ampia, che non si limita al solo terrorismo, ma abbraccia anche reati gravi quali, ad esempio, quelli relativi alla criminalità organizzata ed al traffico di sostanze stupefacenti. La possibilità di monitorare in modo più accurato l’utilizzo di veicoli, tramite la tracciabilità dei dati di noleggio e subnoleggio, offre alle forze dell’ordine uno strumento efficace per prevenire l’utilizzo di autoveicoli in operazioni criminali o terroristiche.

Le esperienze investigative hanno dimostrato che i veicoli a noleggio vengono frequentemente utilizzati per compiere reati gravi, inclusi attentati terroristici. L’aumento dei controlli e della tracciabilità nel settore del noleggio rappresenta, quindi, un importante strumento di prevenzione, consentendo una tempestiva identificazione di potenziali minacce. Le forze dell’ordine potranno sfruttare questi dati per rafforzare le attività di monitoraggio ed investigazioni preventive.

CONCLUSIONE

Le modifiche introdotte dall’Atto Senato n. 1236 rappresentano un aggiornamento significativo del quadro normativo italiano, volto a contrastare in maniera più incisiva le nuove sfide poste dal terrorismo e dalla criminalità organizzata. Attraverso una combinazione di misure preventive e repressive, il legislatore sta creando una cornice più efficace per prevenire condotte pericolose prima che queste degenerino in atti violenti, rafforzando così la sicurezza sia a livello nazionale che internazionale.

L’esperienza concreta delle forze di polizia, unita al contesto attuale, conferma l’importanza di disporre di strumenti giuridici adeguati per tutelare i cittadini e garantire l’autorevolezza delle Istituzioni incaricate di intervenire. Tuttavia, ribadiamo la nostra ferma opposizione a politiche securitarie che non siano orientate alla risoluzione concreta delle problematiche esistenti. Siamo fermamente convinti che le nuove leggi debbano contribuire in modo efficace a risolvere o almeno mitigare situazioni di disagio e malessere che gravano sia sui cittadini che sugli operatori di polizia.

Deve essere chiarito che la Polizia, attraverso il mantenimento dell’ordine pubblico, fornisce un servizio fondamentale alla collettività, che si pone come indicatore della qualità democratica del Paese e della sensibilità civile del suo sistema politico di Governo. In questo risiede l’essenza stessa della democrazia, che richiede un giusto equilibrio tra libertà e legalità, ovvero il diritto di manifestare liberamente il proprio dissenso, nel pieno rispetto delle libertà di tutti i cittadini, come sancito dalla Costituzione.

 

Audizione 17 ottobre 2024 Commissioni riunite ANFP SIAP