Laura Cassarà, la moglie di Ninni, Vice Questore Aggiunto della Polizia di Stato in forza presso la Questura di Palermo e vice dirigente della Squadra Mobile, agli inizi dell’agosto di 31 anni fa, era più preoccupata del solito: qualche giorno prima era stato falcidiato dai colpi di pistola di Cosa Nostra Beppe Montana, con il quale il marito aveva collaborato e del quale era amico fraterno. Il 6 agosto intorno alle 15 e 30, è di vedetta alla finestra con la figlia Elvira di due anni tra le braccia e lo aspetta: Cassarà le ha telefonato annunciandole di essersi preso una pausa inaspettata dal lavoro, per raggiungere lei e i tre bambini. Vede l’Alfetta bianca entrare nel cortile, Roberto Antiochia, volontario nella scorta, tornato dalla vacanza per mettersi a disposizione della Mobile palermitana, e il marito scendere dalla macchina. E d’improvviso si scatena una tempesta di piombo. Cassarà corre verso i gradini dell’ingresso, se ce la fa a entrare forse è salvo. Ma cade prima Antiochia che cerca di proteggerlo, poi lui, colpiti da raffiche di centinaia e centinaia di colpi di kalashnikov, mentre la strada è bloccata da una dozzina di killer travestiti da militari, un commando feroce avvertito chissà da chi del cambiamento di programma deciso all’ultimo momento da Cassarà.
Si saprà poi che la signora Cassarà si lanciò dalle scale suonando a tutte le porte perché qualcuno prendesse in custodia la bambina e che solo un inquilino aprì e l’aiutò. Si saprà dopo che probabilmente la telefonata fattale dal marito dagli uffici della Questura era stata intercettata. Si saprà dopo, troppo tardi, che Cassarà era un altro di quei “cadaveri che camminano”, soli, sottoposti a turni massacranti, poche risorse, nessun sostegno. Si saprà dopo, troppo tardi, delle sue parole profetiche, che avevano definito la frontiera antimafia, una frontiera al massacro: “Senza il nostro sangue molti Soloni non avrebbero pontificato nè convegni e nè summit”, aveva dichiarato polemico.
E si saprà in seguito delle brillanti operazioni che avevano fatto di Cassarà un obiettivo: le indagini sui killer latitanti Pino Greco e Mario Prestifilippo, la “Pizza Connection”, effettuata in collaborazione con forze di polizia degli Stati Uniti, la collaborazione strettissima con Giovanni Falcone e il “pool antimafia” della procura di Palermo, che contribuì all’istruzione del primo maxiprocesso alle cosche mafiose, grazie anche a quel rapporto dei “161+1”, che rivelò la struttura dei mandamenti mafiosi, e che costituì una base e un metodo indispensabili e insostituibili per le investigazioni che inchiodarono oltre 400 persone per reati di mafia: quella sua intuizione, condivisa con Montana, di seguire la “via dei soldi” per arrivare attraverso le rintracciabilità di operazioni finanziarie sospette ai vertici delle cosche.
Quella strada inaugurata da un manipolo di eroi, caduti tutti per noi, per la sicurezza, la legalità, la democrazia contro il ricatto, l’intimidazione, la paura, mostra ancora oggi la sua validità, oggi che, come rivelano le relazioni della Dia, le mafie hanno aggiornato le loro strutture ed hanno esteso i territori delle loro scorrerie, affiancando ai settori tradizionali dei loro profitti (droga, prostituzione, gioco, usura, racket), l’infiltrazione nell’economia e nei gangli strategici della società, occupando ruoli direttivi nelle banche, assorbendo aziende in crisi per convertirle all’illegalità, stringendo alleanze con frange infedeli della pubblica amministrazione, degli apparati e della politica, per ottenere trattamenti di favore nell’aggiudicazione di lavori e opere, corrompendo e avvelenando il sistema della libera concorrenza e della leale competizione.
Non siamo stanchi di ripetere che il loro impegno e il loro sacrificio ci è di incoraggiamento e stimolo; non siamo stanchi ogni anno di ricordarli, perché il loro esempio serva non solo a noi – per riconfermare la natura ed i fini della nostra missione istituzionale, improntata a spirito di servizio e senso di responsabilità – ma rafforzi la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, nella certezza che i servitori dello Stato vigilano e si prodigano con abnegazione per difendere sicurezza, libertà, diritti costituzionali, democrazia.
Le cronache del funerale di quei due servitori dello Stato annotano che a seguire le bare c’erano i familiari, gli amici e tanti poliziotti che avevano scelto di percorrere a piedi le strade di Palermo, infuocata da un caldo africano, per mostrare a tutti con la loro risolutezza e il loro coraggio. Ma aggiungono che nessuno dei cittadini che assistevano al passaggio del corteo, si univa a loro.
Sono passati 31 anni, tante cose sono cambiate, da tempo giovani e non, imprenditori e gente comune, molte donne, mamme e padri che vogliono un futuro di libertà, benessere e dignità per i loro figli, manifestano, denunciano, protestano per spezzare il giogo della paura, della minaccia, della coercizione. Altri morti si sono aggiunti a quelli di quell’agosto: gente che ha creduto nelle leggi, nella politica pulita, nei valori e negli interessi della collettività.
Orgogliosamente ne facciamo parte, orgogliosamente facciamo il nostro dovere per difendere i diritti di tutti, orgogliosamente ogni giorno cerchiamo di onorare l’impegno ed il sacrificio dei numerosissimi servitori dello Stato che nella battaglia per la legalità e la sicurezza hanno perso la vita, nell’auspicio che il loro percorso esemplare e il nostro lavoro quotidiano siano fondamento per rinnovare quel patto di fiducia e solidarietà che deve necessariamente coinvolgere tutti: istituzioni, governo, società, cittadini.

Roma, 6 agosto 2016
Lorena LA SPINA
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