Signor Capo della Polizia,
Il Consiglio di Amministrazione, come sempre atteso con grande trepidazione dai funzionari di polizia, che da anni aspettano azioni concrete volte al riconoscimento della loro professionalità e della specificità del ruolo e delle competenze acquisite, anche quest’anno non ha appagato le legittime aspettative di centinaia di colleghi.
Troppo stretto il collo di bottiglia: appena 38 sono stati i promossi a Primo Dirigente e 27 a Dirigente Superiore. E se è fuor di dubbio che tra i promossi ci siano colleghi capaci e meritevoli, è altrettanto vero che sono ancora troppi i meritevoli non promossi, condannati ad attendere un tempo indefinito, nel corso del quale le aspettative, come in passato, si trasformano in frustrazione.
L’assenza di regole obiettive e uniformi, che garantiscano una reale trasparenza dei procedimenti finalizzati alla promozione alla qualifica superiore e che vincolino ragionevolmente la decisione a parametri di giudizio oggettivi, grazie alla individuazione di un percorso di carriera, alla valutazione delle diverse esperienze acquisite, dei risultati realmente ottenuti e della specifica professionalità posseduta, costituisce la principale fonte di malessere tra i colleghi, penalizzati da scelte determinate da una discrezionalità, che troppo spesso si trasforma in arbitrio. A taluni vengono richiesti sacrifici personali e familiari per poter ipotizzare un accesso alla qualifica superiore, mentre altri riescono ad ottenerla con percorsi molto più semplici e sereni, ricoprendo posizioni che non espongono a tutti i rischi connessi alla gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica, ignorando cosa significhino gestione del personale e dinamiche sindacali.
Non è certo possibile stabilire una volta per tutte quale sia la scelta migliore da parte dell’Amministrazione, esistendo indiscutibilmente – nel variegato e particolare contesto lavorativo cui apparteniamo – professionalità settoriali e specifiche maturate con fatica nel corso del tempo, che meritano di essere conservate e premiate e apparendo, per contro, altrettanto meritevole la diversificazione delle esperienze favorita dalla mobilità sul territorio.
Ma proprio per questo, però, all’interno di un universo professionale che presenta delle oggettive peculiarità, l’applicazione di criteri uniformi e trasparenti costituisce un fondamentale ed imprescindibile elemento di garanzia.
Paradossalmente, peraltro, in spregio a quanto più volte affermato dalla giurisprudenza amministrativa in sede di ricorso con riguardo alla necessaria correlazione logica che deve intercorrere tra la valutazione complessiva e le singole categorie di titoli, si assiste alla attribuzione di punteggi discrezionali visibilmente sproporzionati a candidati che hanno riportato punteggi nulli o molto bassi nelle categorie oggettive. Con la ulteriore stortura che il punteggio discrezionale, una volta attribuito in occasione di una determinata valutazione annuale, resta poi – a differenza dei titoli, per i quali vale la regola del quinquennio – inalterato del tempo a tutto vantaggio del privilegiato di turno.
E’ giunta l’ora di cambiare questo stato di cose perché tutti questi elementi negativi costituiscono una miscela che può sfociare in sentimenti divisivi, con il rischio di strumentalizzazioni o manipolazioni finalizzate ad alimentare conflittualità lesive dell’autorevolezza della Polizia di Stato.
Se il sistema richiede criteri certi e percorsi di carriera lineari, per essere correttamente applicati essi necessitano, altresì, di una politica alloggiativa concreta e reale. Infatti, se la mobilità e la disponibilità nei confronti dell’Amministrazione sono considerati elementi oggetto di valutazione ai fini della progressione (e sotto questo profilo l’Amministrazione deve saldare ancora i propri debiti, basta non onorarne uno che il sentimento di sfiducia si diffonde in tutta la categoria), del tutto insufficiente si rivela il regolamento sull’assegnazione degli alloggi di servizio connessi all’incarico, nel quale si prevede che essi siano concessi “ove disponibili”. Ciò significa, nella sostanza, che non esiste alcuna garanzia per chi si mette a disposizione dell’Amministrazione, accettando di affrontare le notevoli difficoltà connesse allo spostamento del nucleo familiare.
Troppo spesso, infatti, valutazioni di tipo economico legate alla mancanza degli alloggi ed alla irrisorietà del trattamento accessorio connesso ai trasferimenti “d’ufficio” il cui valore economico fermo da oltre 15 anni viene, tra l’altro, erogato agli aventi diritto con gravi e insopportabili ritardi, condizionano negativamente la mobilità sul territorio nazionale, tanto che il trasferimento di sede si trasforma in una vera e propria penalizzazione.
Inoltre, ci domandiamo che fine abbia fatto il gruppo di lavoro incaricato, nel febbraio del 2014, di definire, in un’ottica di aggiornamento e di revisione, i criteri e i parametri necessari per la valutazione del personale direttivo e dirigente ai fini della progressione in carriera: i componenti di quel gruppo di lavoro sono andati quasi tutti in pensione e c’è da chiedersi se siano stati pensionati anche i risultati.
Superiamo, comunque, le polemiche, pur essendo basate su valide motivazioni, e progettiamo il futuro in modo pragmatico e realistico. Si ridia, dunque, vigore al gruppo di lavoro sull’aggiornamento dei criteri con dei nuovi componenti ed un congruo limite temporale entro il quale si possano conoscere le relative conclusioni. Se ne istituisca un altro sugli alloggi, che censisca in modo trasparente quelli di cui si può disporre e quelli che risultano assegnati a non aventi diritto, individui le disponibilità demaniali, predisponga un piano di finanziamenti volto alla realizzazione di progetti tesi sia alle ristrutturazione di immobili sia alla costruzione di nuovi stabili per assecondare le esigenze abitative connesse agli incari di servizio, che renda vivo il regolamento sull’assegnazione degli alloggi (Decreto 30 luglio 2015, n.155, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 219 del 2 ottobre 2015), oggi arenato su un binario morto. Altrimenti, ogni anno, in occasione del Consiglio di amministrazione, tutto finisce col ripetersi come in una stanca liturgia.
Occorre prendere coscienza che le scelte che si compiono in queste occasioni incidono molto più di quanto si pensi sulla nostra organizzazione, sulla motivazione dei funzionari, sul loro complessivo rendimento e sulle reali prospettive della nostra Amministrazione.
Roma, 6 aprile 2017