Tutti gli osservatori in tutto il mondo si interrogano se gli eventi della sponda meridionale del Mediterraneo aprano una fase nuova nella storia del mondo arabo, se si configurino nuovi rapporti con l’Europa e l’Occidente, se si determinino equilibri differenti all’interno del complicatissimo contesto della geografia fondamentalista musulmana. L’Europa sembra essere stata colta di sorpresa e l’Italia ancora di più, estromessa delle prime reazioni frutto delle intese muscolari anche se poco meditate delle cancellerie.
Si questa volta l’Europa è stupita che la strada abitualmente percorsa non basti più, che la politica estera regionale non si fa solo con gli accordi commerciali: Questa volta, la ribellione ha radici e ragioni profonde che travolgono l’illusione di una stabilità, le nostre aspettative in materia di sicurezza energetica, che ripropongono con prepotenza i temi dell’immigrazione clandestina, della lotta contro il terrorismo. E dimostra che il partenariato economico non è sufficiente a contenere al domanda di libertà e dignità umana e che da questa sponda del Mediterraneo siamo drammaticamente impreparati a comprendere e contribuire al governo del complesso rapporto fra democrazia e mondo musulmano, avendo preferito la scorciatoia dell’approccio mercantile e il sostegno acritico ad autocrati capaci di trasmettere sicurezza e affidabilità soprattutto sul versante commerciale.
L’osservazione degli eventi nordafricani fa capire che siamo di fronte a qualcosa di nuovo per noi, diverso, imprevisto ma non imprevedibile, mettendo in luce schemi inattesi, aspettative di gente normale, che non intende più far parte di un docile gregge, mostrando in modo esemplare che un popolo seppure nuovo alla democrazia a ad essa disabituato, improvvisamente e quando meno uno se lo aspetta, s’indigna se chi governa passa il segno della decenza e della dignità. E ha spazzato il campo di pregiudizi e convinzioni ai quali noi per primi ci eravamo assuefatti scendendo in campo con parole d’ordine nuove, quelle dei diritti a una esistenza dignitosa a diritti elementari, non nascondendosi più dietro il conflitto israelo-palestinese, non trincerandosi dietro l’antiamericansimo, ma reclamando certezze economiche, garanzie istituzionali, accesso all’istruzione e all’informazione. E ponendo forse senza neppure esserne coscienti, il tema della convivenza fra Islam e democrazia.
E se la sponda sud del Mediterraneo diventa così una complessa priorità europea che richiede una moderna e efficace elaborazione politica sulla globalizzazione e il nostro vicinato, per l’Italia sollecita una urgente riflessione sulle difficoltà di mantenere gli standard di democrazia all’esterno si ma soprattutto all’interno, che bisogna saper camminare in equilibrio sul crinale fra giustizia e sopruso per ripristinare le condizioni di rispetto, civiltà sicurezza.
Per questo l’Egitto è un’occasione storica e un banco di prova per i Paesi occidentali che devono impegnarsi per contribuire concretamente a spezzare nel più strategico paese arabo il circolo vizioso di miseria, frustrazione, regimi di polizia e terrorismo – spesso alimentato dai regimi stessi per ottenere soldi e status dall’Occidente – che destabilizza Nordafrica e Vicino Oriente fino al Golfo e oltre.
Il successo della rivoluzione avvierebbe la transizione a un Egitto “normale”, con un potere politico legittimato dal popolo mutando la fisionomia della nostra frontiera sud-orientale, avvicinandola agli standard europei di libertà, legalità e democrazia, rimettendo in gioco quelle opportunità che gran parte del mediterraneo ha perduto per l’avidità delle élite postcoloniali, impegnate a coltivare le proprie rendite.
E proprio l’Italia più di qualsiasi altra nazione europea deve guardare con partecipazione a quello che avviene al di là del grande “lago”, per motivi di interesse legati alla ricostruzione del circuito mediterraneo, per l’esistenza di formidabili flussi commerciali fra Asia ed Europa, per le problematiche legate alle migrazioni e al rischio che dislivelli e iniquità alimentino criminalità e terrorismo.
A tutti i livelli dobbiamo esigere che il governo prenda posizione a dimostrazione che siamo convinti che lo sviluppo del Sud del mondo è affar nostro, che non è una minaccia ma una potente risorsa per la ripresa economica e lo sviluppo.
Ma deve anche dimostrare la capacità di guardare a quello che avviene come a una lezioni di democrazia.
Negli ultimi vent’anni i paesi europei e l’Italia in prima linea, dalla guerra del Golfo alla Jugoslavia fino a quella in Afghanistan, hanno scelto il ricorso alla guerra come consolidata “componente necessaria e irrinunciabile” della politica estera, adottato quel repertorio di espedienti strategici,istituzionali e semantici e facendola diventare di volta in volta operazione di pace, mantenimento della sicurezza se non addirittura esportazione della democrazia.
Quello che sta avvenendo potrebbe assumere il significato dell’ importazione di una lezione di democrazia.
Se anche i militari riuscissero ad affogare nel sangue le aspettative della piazza, la rivoluzione egiziana ha dimostrato che il paradigma delle dinastie parassitarie, incentivato dai governi occidentali, non garantisce più nessuno. Né i popoli che opprime né noi europei che dobbiamo convincerci che le condizioni di caos, repressione e miseria alimentano violenza risentimento e terrorismo, quello di oscure personalità già molto tremendamente presenti nei nostri territori e nelle nostre metropoli. Se sbagliamo politica in Egitto, in Tunisia o in altri paesi del nostro Sud, il prezzo lo paghiamo in casa.
Per questo dobbiamo esercitare una forte e convita pressione perché il nostro governo impegni forza e risorse a sostegno dei cambiamenti in atto sulla sponda africana del Mediterraneo.
E ne tragga anche una lezione aggiuntiva strategica proprio per noi: il popolo egiziano ha compiuto una scelta esplicita. Fidandosi dell’esercito rispetto a una polizia che giudica corrotta invischiata nella repressione del governo e condizionata dal potere.
È il monito che la sicurezza va intesa come sistema di garanzia di diritti, di lotta alla criminalità anche politica e all’illegalità anche se esercitata da influenti rappresentanti eletti, di tutela dell’equità come irrinunciabile motore di crescita e sviluppo civile.
Un popolo che scommette sulla sua possibilità di crearsi la sua democrazia ce lo dice con rabbia e determinazione, non dimentichiamolo.
È questa la sicurezza cui pensiamo, che auspichiamo là e che vogliamo mantenere qui.