Lettera a una Professoressa

 

Ed è così, che nel corso di una nota trasmissione televisiva, commentando le parole pronunciate dal Ministro dell’Interno a proposito della recente, ennesima tragedia della povertà e della disperazione, a seguito della quale hanno perso la vita almeno 64 persone, ha concluso il proprio intervento la nota filosofa, accademica, editorialista e saggista italiana Donatella Di Cesare: “… un Ministro, per quanto tecnico, non può parlare come un questurino, mi dispiace dirlo, però è così”.

Eppure la Professoressa Di Cesare, pochi istanti prima, aveva citato “La banalità del male”, di Hannah Arendt, ricordandone la scaturigine nell’“assenza di pensiero”, nella mancanza di empatia, “(nel)l’incapacità di immaginare, di mettersi nei panni dell’altro”.

Sorprendente nemesi, in effetti.

Gentile Professoressa,

l’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia, che rappresenta le centinaia di colleghi che ogni giorno lavorano, su tutto il territorio nazionale, con l’obiettivo di rendere migliore la vita degli altri, aiutandoli nelle difficoltà del quotidiano, anche solo per alleviare la solitudine, la paura, lo smarrimento dei più deboli o intervenendo in contesti critici, rischiosi e difficili, ponendo a repentaglio spesso anche la propria incolumità, sacrificando costantemente le proprie famiglie per “essercisempre”, la invita caldamente a ripensare alle Sue parole e a “mettersi nei panni” dei tanti poliziotti, che con altezzoso disprezzo ha inteso svilire ieri sera, definendoli indistintamente “questurini” (tutti quanti, medici inclusi, perché tra di noi ci sono anche quelli); gli stessi, ricordiamolo per inciso, pronti ad accogliere le centinaia di profughi che arrivano esausti sui barconi, fornendo loro le prime cure e l’assistenza necessaria.

E la invita, infine, a chiedere scusa, cara Professoressa. Perché solo questo potrebbe porre rimedio alla “banalità” dello stesso “male” da Lei rimproverato al Ministro dell’Interno e a noi “questurini”, in cui pure è incorsa con un’enorme superficialità, che non fa certo onore al Suo titolo accademico ed al ruolo educativo che Lei ha scelto di ricoprire, con ciò assumendosi una grande e precisa responsabilità.

Proprio l’esercizio critico del pensiero, quale antidoto all’odiosità del male, avrebbe dovuto suggerirLe  maggior prudenza, tanto più a Lei, che dell’uso del pensiero e delle parole fa professione.

Quelle che ha pronunciato, al contrario, segnano una distanza siderale dal nostro mondo, che, invece, è quello di tutti e quindi anche il Suo.

Ci asteniamo, per brevità, dal rammentarLe i nomi dei troppi caduti della Polizia di Stato, che col loro sacrificio hanno onorato l’impegno assunto nei confronti del nostro amato Paese e di tutti coloro che in esso vivono, cittadini e non, senza distinzione alcuna, con lo stesso impegno, con la stessa passione, con la stessa forza, con la stessa responsabilità. Sempre.

I “questurini” forse Lei non li conosce bene e magari, chissà, qualche volta potrà in futuro persino capitarLe di averne bisogno, con la certezza di trovare in Loro comprensione, umanità ed ascolto.

Per concludere, l’intera categoria, alla quale Lei ieri si è con ostentato dispregio rivolta, si pregia di ricordarLe che il Questore (termine per inevitabile assonanza vicino al fastidioso epiteto che ha ritenuto di utilizzare) è nel nostro ordinamento giuridico Autorità provinciale di pubblica sicurezza, coronamento e orgoglio di quel percorso professionale articolato, faticoso e complesso, che caratterizza la carriera di tutti noi, Funzionari della Polizia di Stato.

Il Consigliere
Lorena La Spina
già Segretario Nazionale

Lettera a una professoressa