GIUSTIZIA E’ FATTA!
CASO SHALABAYEVA
TUTTI ASSOLTI PER UN PROCESSO CHE NON DOVEVA MAI INIZIARE
La Corte d’Appello di Perugia, ribaltando la sentenza di primo grado, ha assolto con formula piena i funzionari di Polizia accusati di sequestro di persona per il rimpatrio di Alma Shalabayeva e di sua figlia, espulse verso il Kazakistan nel 2013.
Nella notte tra il 28 ed il 29 maggio 2013, durante le ricerche del marito della Shalabayeva, ex Ministro delle Finanze kazaco, colpito da un mandato di cattura internazionale, le due donne furono portate in Questura poiché la Shalabayeva fu trovata in possesso di un passaporto falso.
In primo grado i magistrati valutarono la condotta dei colleghi come: “rapimento di Stato”.
Nell’istruttoria dibattimentale in appello, il dott. Giuseppe Pignatone, già Procuratore della Repubblica di Roma all’epoca dei fatti, ha dichiarato: “Ci siamo convinti, più che mai, che il documento era falso e dopo nove anni mi chiedo ancora come sia possibile affermare il contrario, con un passaporto che riporta un nome diverso e che fosse nostro dovere concedere il nulla osta (per l’espulsione ndr). A quel punto il P.M. Eugenio Albamonte ha dettato alla mia segretaria il nulla osta e, per noi, la storia finisce lì. Resto convinto della falsità del documento e non ho mai capito perché quel giorno gli avvocati non abbiano chiesto l’asilo politico”.
La sentenza di condanna in primo grado ha considerato, ingiustamente, l’intero operato come un’ipotesi di “palese violazione dei diritti fondamentali della persona umana”.
In merito, siamo stati sempre fermamente convinti che l’operato dei colleghi fu dettato solo dal pieno ed assoluto rispetto delle norme vigenti, partendo da una “red notice” dell’Interpol per la cattura di un latitante e finendo con il procedere ai necessari adempimenti di legge, relativi all’espulsione della moglie dello stesso, accompagnata dalla figlia, in possesso di un passaporto giudicato falso dagli specialisti.
La testimonianza del Procuratore della Repubblica della Capitale, all’epoca dei fatti, pone il sigillo alle nostre convinzioni, basate sulla verità dei fatti e del loro svolgimento. Quanto accaduto impone una seria riflessione, da parte di tutte le Istituzioni, sulle conseguenze che un funzionario di Polizia può subire in seguito ad una condanna di primo grado, relativa a fatti inerenti l’attività d’ufficio. Tritati nei media, soprattutto nelle prime fasi, rimossi dal proprio incarico e collocati in disponibilità in altra sede, come immediata conseguenza di una sentenza di condanna di primo grado, non solo mette a dura prova gli animi dei colleghi interessati, ma rischia di alimentare un clima interno di timore e demotivazione nello svolgimento della propria funzione, da parte di ciascun appartenente alle forze di Polizia.
Ci chiediamo se valga o meno per noi, funzionari di Polizia, il principio costituzionale della presunzione d’innocenza fino alla condanna definitiva. Ci auguriamo, perciò, che i colleghi vengano risarciti per le conseguenze patite dall’ingiusta condanna di primo grado, riferite sia alle mancate opportunità di carriera dei colleghi, sia alla sottrazione delle loro professionalità alla Polizia di Stato nell’interesse del Paese.
Il Segretario Nazionale
Enzo Letizia