Signor Capo della Polizia,

i Funzionari della Polizia di Stato ripongono ogni anno nel Consiglio di Amministrazione l’aspettativa di vedere finalmente riconosciuto l’impegno profuso nel corso del tempo, i risultati conseguiti, le rinunce e gli sforzi affrontati e in molti casi imposti anche alle persone più care.

Al riguardo, la nostra categoria sconta la mancanza di una visione prospettica e di una disciplina capace di stabilire, attraverso l’individuazione di un percorso professionale, caratterizzato da un denominatore comune, l’“identikit” del funzionario tipo. Né si è provveduto ad un’adeguata conciliazione tra il criterio dell’anzianità e quello della valorizzazione di risorse più giovani, oggettivamente meritevoli e qualificate.

Nessuno di noi riesce, pertanto, a comprendere con chiarezza quali esperienze minime sia necessario aver maturato e quali doti professionali, gestionali ed umane sia indispensabile possedere per essere considerati meritevoli dell’accesso alle qualifiche dirigenziali, per le quali è previsto il “ruolo chiuso”. Né il perché ad alcuni venga richiesto di dimostrare ripetutamente duttilità e capacità di adattamento a nuove mansioni ed a nuovi contesti territoriali e professionali, con sacrificio personale, familiare ed economico, mentre ad altri tutto ciò non è richiesto.

Tutto questo genera divisioni, diffidenza, frustrazione ed innegabilmente numerose ingiustizie, che pesano in modo forte e significativo sulla motivazione di chi le subisce.
Inoltre, l’obbiettivo della promozione viene troppo spesso raggiunto a pochi anni dalla pensione a causa della cosiddetta “bomba anagrafica“, dovuta a politiche errate nelle assunzioni effettuate dall’Amministrazione negli anni 80 e 90, a cui non si è mai data soluzione.

L’assenza di regole certe, che garantiscano una reale trasparenza dei procedimenti finalizzati alla promozione alla qualifica superiore e che vincolino ragionevolmente la decisione a parametri di giudizio oggettivi, grazie alla fissazione per tutti di un’analoga base di partenza e di seri e periodici percorsi di formazione e di aggiornamento, costituisce fonte di malessere tra i funzionari, che si sentono perciò penalizzati da decisioni che vengono percepite come un arbitrio.

Questa Associazione ha da tempo sottolineato le distorsioni che si collegano alla volatilità dei criteri adottati in sede di scrutinio e all’eccessivo peso del punteggio discrezionale sulla valutazione complessiva, soprattutto nei casi in cui esso non trova riscontro nelle categorie di punteggio oggettivo e neppure nel percorso professionale in concreto documentabile, sollecitando gli opportuni aggiustamenti volti ad assicurare la necessaria trasparenza del giudizio e a premiare il percorso professionale, la qualità delle funzioni e i risultati oggettivamente conseguiti dai singoli nell’ambito degli uffici in cui hanno operato.

Abbiamo più volte sottolineato come questo approccio, che abbiamo definito “a due velocità” – conciliante verso alcuni ed assai esigente verso altri – sia incompatibile con l’esigenza di garantire una valutazione imparziale che richiede, invece, un quadro di regole certe ed uniformi.

Il riordino delle carriere e la ridefinizione di qualifiche e funzioni che ne è conseguita, rende ormai improcrastinabile una riflessione profonda sugli strumenti di valutazione della professionalità e dei risultati. Alcuni aspetti assumono oggi più che mai rilevanza centrale: la fissazione di indici di prestazione, che consentano di rendere valutabile l’apporto peculiare e diversificato che ciascuno di noi è in grado di rendere all’ufficio di appartenenza; l’identificazione dei criteri per la valorizzazione di incarichi delicati ricoperti nella gestione dell’ordine pubblico, del settore logistico, della polizia amministrativa, della lotta al crimine, del contrasto al terrorismo, della gestione dei fenomeni migratori, della difesa delle frontiere e della sicurezza nell’ambito ferroviario, stradale e del web; l’attualizzazione del sistema premiale, in modo che anche funzionari che operano con alto profitto e rendimento in settori diversi dalla polizia giudiziaria e dal soccorso pubblico possano accedere alle ricompense.

Solo a queste condizioni avranno il dovuto riconoscimento la specificità delle esperienze professionali maturate, le capacità evidenziate nella direzione di uffici, nella gestione del personale e nel governo di  contesti operativi complessi anche in condizioni di emergenza, l’assunzione diretta di responsabilità, quelle qualità di equilibrio e di adattamento a situazioni eterogenee e spesso impreviste che impegnano i colleghi a rimettersi sempre in discussione e ad allargare il proprio orizzonte professionale, nel rispetto della duttilità e dell’elasticità mentale ed operativa che devono caratterizzare i funzionari della Polizia di Stato.

Va detto, dunque, con chiarezza che il Consiglio di Amministrazione è uno snodo periodico destinato ad incidere in maniera significativa sulla motivazione di ciascun funzionario, la quale ha a sua volta effetti diretti sull’efficacia dell’azione dell’intera Polizia di Stato e sulla sua “tenuta” di fronte alle pressioni interne ed esterne, cui è sottoposta quotidianamente.

Perciò chiediamo che i lavori preparatori del Consiglio di Amministrazione siano ispirati a criteri oggettivi in cui i principi di valutazione rispondano all’esigenza di rendere chiaro a tutti che le scelte adottate si basano su elementi trasparenti ed idonei a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito da parte dell’Amministrazione, se si vuol proseguire in modo credibile il processo di riforma ordinamentale del Dipartimento e delle strutture territoriali e dare un senso reale al riordino delle carriere ed all’ormai riconosciuta dirigenzializzazione delle nostre funzioni.

Roma, 4 gennaio 2018

Enzo Marco Letizia

PROSSIMO CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE_LETTERA AL CAPO 4 GENN. 2018