La storia della radicalizzazione di Karim sembra anticipare quella degli attentatori della Rambla, questo è uno dei commenti dell’evento di presentazione del volume, cui hanno partecipato il direttore centrale della Polizia di Prevenzione Lamberto Giannini, il procuratore aggiunto della direzione nazionale antimafia ed antiterrorismo Maurizio Romanelli, stimolati dalle domande del vice direttore del TG1, Filippo Gaudenzi, che hanno sottolineato il valore formativo del romanzo “Mi chiamo Karim”, scritto da un profondo conoscitore del fenomeno del terrorismo, tanto che una delle caratteristiche del romanzo è quella del “verosimile che diventa vero”.
Ansoino Andreassi, infatti, già capo dell’Ucigos, Vice Capo della Polizia e Vice Direttore operativo del Sisde, ha tratto dalla sua esperienza l’ispirazione per un racconto che è un documento realistico sulla conversione al radicalismo di un giovane marocchino di seconda generazione alla ricerca insoddisfatta della sua identità.
Ma, il tema non è solo quello della tentazione fondamentalista per i giovani immigrati, del ruolo svolto dai cattivi maestri dell’estremismo islamico, del pericolo terrorista, dal quale il nostro Paese è stato finora esente, come ha sottolineato il Capo della Polizia, grazie anche all’efficacia dell’azione delle forze di polizia italiane che hanno maturato negli anni del terrorismo interno la capacità di realizzare una strategia organizzativa e di scambio informativo che rappresenta un modello e un esempio cui la comunità internazionale guarda con interesse.
Il libro rappresenta un’occasione per interrogarci sulla necessità di governare l’altro pericolo collegato: la paura di un nemico imprevedibile che colpisce nel mazzo, prediligendo la gente comune che passeggia nelle strade della sua città, che va al lavoro, che viaggia sui mezzi pubblici, che festeggia un anniversario che parla della storia della nostra civiltà. Una paura che, come Piazza San Carlo mostra, diventa essa stessa elemento di insicurezza.